Nel Nome Del Male

Nel Nome Del Male
Nel Nome Del Male

Nel 2009 Alex Infascelli firma per Sky una miniserie in due puntate, praticamente un film allungato per una durata di 90 minuti scarsi ad episodio, ambientato in provincia di Trieste, nel profondo nord italiano, quello del ceto produttivo, con una morfologia territoriale fatta di villette di industriali, belle auto, fabbriche, campagna sonnacchiosa e spesso inospitale, paesi di provincia, topografica, culturale e psicologica. Qui le famiglie conducono una vita "normale", monotona, scandita da comodità tecnologiche, lusso e benessere, ma con una sveglia che suona sempre all'alba e lunghe giornate trascorse in azienda a faticare (o comandare, dipende dai ruoli), per poi concedersi la serata in famiglia o tutt'al più davanti ad un bicchiere - magari di troppo - con gli amici. Un pezzetto di mondo che non offre tantissimo ai giovani, soprattutto a quelli disinteressati a ripercorrere pedissequamente le orme dei padri, costruendo un futuro le cui fondamenta poggiano sul denaro ma anche su di una certa aridità e severità umana. Quella dei Baldassi è una delle suddette famiglie, capofamiglia imprenditore tutto d'un pezzo, capelli grigi, cappotto fuori moda, eloquio secco e tagliente, sguardo arcigno, moglie la cui principale preoccupazione è nascondere lo sporco sotto il tappeto, una bimba piccola, un adolescente sedicenne cupo ed irrequieto. Tutto scorre apparentemente tranquillo, tutto va come deve, fino a che il giovane Matteo (Pierpaolo Spollon) sparisce di casa. Giovanni (Fabrizio Bentivoglio) e Lucia (Michela Cescon) si rivolgono ad amici e parenti, poi alla Polizia. Il tempo passa, di Matteo nessuna traccia e Giovanni è l'unico convinto che il ragazzo non si sia allontanato di propria volontà ma sia incappato in qualche guaio. Per gli altri la scomparsa è da archiviare come una ragazzata, è già accaduto a molti altri giovani del luogo. Anzi, a dirla tutta, la la colpa probabilmente è proprio di un padre burbero.

Il dramma sgretola progressivamente la famiglia Baldassi, fino a minare l'unione tra marito e moglie. Giovanni si incaponisce a cercare Matteo, Lucia abbandona subito e si rifugia dalla madre insieme alla bimba. L'ostinazione di Giovanni (la stessa che per una vita ha messo nel lavoro e nella realizzazione di sé) lo porta a scoprire zone oscure del mondo di Matteo, sempre più inquietanti, sinistre, disturbanti. Sarà l'incontro con una madre che ha perso la figlia a scoperchiare un vaso di Pandora che Giovanni non avrebbe mai creduto di dover conoscere. C'è un legame con il satanismo e con degli adoratori del Diavolo che vino nella zona. I livelli però sono tanti, l'omertà persino maggiore e per Giovanni inizia un viaggio pericolosissimo in una dimensione delirante e destabilizzante. Infascelli si è consapevolmente disinteressato della documentazione scientifica sul fenomeno delle sette sataniche in Italia, per cercare di mantenere lo stesso sguardo puro di Giovanni, che si addentra passo dopo passo in un universo impensabile. Il suo stupore, la sua razionalità, la sua diffidenza sono quelle che chiunque nutrirebbe verso una realtà a tratti folcloristica ma che, sfoltita dell'epidermide più superficiale, si mostra come un incubo di carne viva e pulsante, irrorata di sangue denso e malmostoso. Bentivoglio è un po' inchiodato al suo personaggio scorbutico, chiuso e limaccioso (quello del Professor Sperone de La Scuola di Lucchetti o di Ambrosoli in Un Eroe Borghese di Placido), ma tutto sommato la sceneggiatura richiedeva esattamente quella fisionomia e. perlomeno nel finale. il suo Giovanni sa in parte emanciparsi e rivedere le proprie convinzioni.

Notevole lo spaccato umano (e disumano) che lo circonda, con "tipi" molto plausibili a livello di rappresentazione della società italiana, quella più orizzontale, di superficie; la sciùra Cescon, il prete di paese, i poliziotti, gli amici di scuola di Matteo, il meccanico, lo sballo, il vento che spazza costantemente la campagna friulana, proprio al confine con la Slovenia. Chi cerca da In Nome Del Male (a proposito.... un tiolo un po' meno banale no?) una rappresentazione azzardata e sanguinolenta del diabolico, magari un horror o qualcosa di molto spinto anche e soprattutto da un punto di vista visivo, rimarrà deluso. La serie lavora prevalentemente su di un piano psicologico, costruendo atmosfere ambigue e rarefatte, strisciando nella penombra, pur concedendo a tratti passaggi più espliciti. Sarebbe stato molto più incisivo, a mio avviso, omettere la cronaca puntuale di cosa accade a Matteo, in parallelo alle ricerche che conduce Giovanni. Il senso di angoscia e di paura nello spettatore - costretto a immaginare senza sapere nel concreto - sarebbe stato molto più soffocante. Tuttavia Infascelli ritrae in modo convincente e affascinante le malevole location della provincia triestina e mette addosso a Bentivoglio e ai sibillini Vitaliano Trevisan e Alessandra Agosti un'inquietudine che si respira lungo tutta l'opera. Freddo e chirurgico il finale, intinto di nichilismo e rassegnazione (ancorché livorosa e rancorosa da parte di Giovanni). Delle didascalie gettano ulteriore tensione e malessere sullo spettatore, mettendo a fuoco l'estrema vitalità del settarismo satanico nell'Italia contemporanea; né la consapevolezza che sotto la generica dicitura di "setta" convivano le realtà più disparate - da vere e proprie aristocrazie crudeli ed erudite a cialtroni di paese offuscati da droghe e alcol - concede particolare rasserenamento, anzi. Interessante anche il fatto che, oltre a circumnavigare i confini del satanismo, Infascelli si concentri (con brillanti risultati) sugli effetti che tale morbo provoca dapprima sulla famiglia Baldassi e più in generale su tutta quella società paesana. Si sarebbe potuto trattare di droga o di qualche altra "patologia", avulsa dal Maligno; il suo concretizzarsi dissolve con estrema facilità il clima idilliaco di un nucleo famigliare abituato all'agiatezza e ad una comunicazione di facciata, che non scava mai veramente in profondità nei sentimenti e nelle necessità reciproche, così come mette a nudo l'ipocrisia di molti (il prete, gli amici, i poliziotti, etc).

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