Ultimo film di Riccardo Freda, uno che ha "solo" inventato il genere con I Vampiri nel 1956, assieme a Mario Bava, praticamente i due padri del thriller horror italiano nonché nomi imprescindibili di tanto cinema di genere italiano fino agli anni '80. Follia Omicida aka Murder Obsession aka L'Ossessione Che Uccide arriva nel 1981, fuori tempo massimo, non solo per Freda che ha 72 anni, ma per il cinema gotico italiano e più in generale di paura. Nel decennio dei Duran Duran, degli Spandau Ballet e degli Wham resistono solo pochi noti, Dario Argento su tutti (che comunque ha già cambiato pelle), Lamberto Bava al traino di Argento, e quella cricca lì, con gli Stivaletti, i Soavi, i Fragasso, spesso persi nel sottobosco dell'underground a basso costo. Per altro Freda era proprio un autore di altri tempi in senso letterale, classe 1909, aveva inaugurato il filone neogotico, fatto di antiche e vetuste magioni, trame ottocentesche, costumi nobiliari e retaggi anglosassoni, eleggendo la magnifica Barbara Steele a propria attrice più rappresentativa. Il tifone passato col volgere del decennio dai '70 agli '80 non poteva non segnare anche il cinema di Freda. Le storie si erano spostate dalle merlate residenze di campagna alle città metropolitane, calate in contesti moderni e contemporanei, elettrificate con una tensione, un nervosismo ed una frenesia tipicamente al passo coi tempi, ben lontani dai quelli ieratici e dilatati della suspence di derivazione letteraria alla Edgar Allan Poe, Lovecraft, Shelley, Walpole, Lewis, etc.
Volente o costretto, Freda si adegua al momento storico creando una specie di ibrido tra il suo vecchio cinema e le tendenze più attuali. Abbiamo quindi una troupe cinematografica (che fa molto moderno), ed addirittura un gioco metacinematografico che fa credere allo spettatore di essere scaraventato subito nel film mentre invece si tratta di un set; abbiamo una casa di campagna che va a sostituirsi all'antico castello di sorta, e tuttavia abbiamo rapporti tra personaggi che, una volta circoscritti dentro la casa avulsa dal resto del mondo, diventano né più né meno quelli di un tipico romanzo gotico, con la Stindberg eletta a matrona baronessa, il fido maggiordomo Oliver (John Rochardson) a servitore indefesso, claustrofobiche segrete e sotterranei misteriosi ed inesplorati, temporali notturni degni delle Highlands, candelabri a supplire alla mancanza di corrente, strumenti di morte primitivi e brutalissimi come coltellacci, asce e seghe (queste si, motorizzate, ma nei fatti simili a ghigliottine), maneggiati però da un sanguinario esecutore guantato alla maniera di Argento (pelle nera), che a sua volta andrebbe fatta risalire a Bava e, per proprietà transitiva, e Freda stesso.
Freda insomma cerca di adeguarsi rimanendo se stesso, di modernizzarsi senza snaturarsi troppo e privilegiando l'aspetto psicologico della vicenda, pur concedendo molto allo splatter gore, componente non proprio fondamentale nei suoi film, e alla deriva paranormale e spiritistica (altro fattore che concepiva mal volentieri nelle proprie storie, convinto com'era che il male albergasse dentro l'uomo e non fuori, in balia di chissà quali entità ultraterrene). Gli omicidi vanno in cerca del dettaglio sanguinolento ed efferato, anche se a livello di effetti speciali il film accusa un certo pressappochismo (dovuto anche alla scarsità di fondi). La testa sfasciata di Henri Garcin è chiaramente un mascherone, il collo di Martine Brochard è un tronco di cera, e le budella della Gemser sono le uniche credibili, anche se la marcata respirazione dell'attrice inficia il brutale realismo delle sequenze. In questo senso, la scena costruita meglio è il lugubre e malsano incubo onirico vissuto dalla Dionisio la quale, non distinguendo tra immaginazione e realtà, esplora anfratti sotterranei, braccata da creature mostruose e figure incappucciate prossime ad officiare riti dal sapore esoterico-satanico. E che dire del fetido ragnone contro il quale si imbatte, neanche degno di un tunnel dell'orrore di un parco divertimenti di quarta categoria?
Freda si lamentò molto degli attori, relegandoli ad una manica di incapaci, eppure si dovrebbe distinguere tra il materiale umano a sua disposizione. Se è vero che le espressioni parossistiche di Stefano Patrizi non aiutano (nemmeno la sua totale identità con il padre William), e neppure è granché esaltante la fissità quasi ottusa di John Richardson, il cui maggiordomo per altro ha un ruolo assai delicato nella storia, la Dionisio, la Brochard e la Stindberg recitano discretamente, oltre ad essere fisicamente donne molto avvenenti e sensuali. Il plot mette un po' troppa carne al fuoco, non procedendo in modo sempre lineare e chiaro, ma risulta molto godibile il doppio twist finale, durante il quale lo spettatore capisce come sono andate le cose, per culminare addirittura in una blasfema dissacrazione nientemeno che della Pietà michelangiolesca. Apprezzabile anche il fatto che la chiusa ultima su cui scorrono i titoli di coda sia estremamente cinica e perversa e non conceda alcunché alle speranze di salvezza dei protagonisti. La Strindberg brilla di un'allure diabolica e maledetta, mentre la Dionisio emana un candore altrettanto conturbante. Le due donne sembrano quasi angeli opposti che si combattono per la salvezza delle anime.
Da sottolineare il morbosissimo rapporto (ai limiti di Edipo) che si instaura tra madre e figlio, amplificato dall'evidenza che Michael è identico al padre William (anche perché Patrizi recita due parti in commedia e senza il minimo accenno di trucco differente) e reso ancora più peculiare dal fatto che tra la Strindberg e Patrizi correvano appena sei anni di differenza. In effetti, a ben vedere Patrizi preferisce praticamente chiunque ad una sgnacchera di fidanzata coma la Dionisio, a cominciare dalla Gemser per poi tessere un rapporto borderline con la madre Glenda. C'è chi ritiene questo testamento frediano uno dei suoi capolavori, in contrasto all'opinione che lo stesso regista aveva del film ("una merda"). Personalmente penso che la verità stia nel mezzo, non trattandosi né di una pellicola eccezionale né di un disastro inguardabile. Follia Omicida ha comunque dei punti di interesse, qualche buona trovata, belle atmosfere, e perlomeno due attrici da non perdere. Il commento musicale è affidato a brani classici di Bach e Liszt che appesantiscono un po' l'incedere di fotogrammi tendenzialmente già piuttosto lenti.