
Lo ammetto, sapere che Zowie Bowie aka Duncan Jones fosse il figlio di David Bowie mi ha indisposto, sono partito prevenuto, l'allarme "film fighetto" era già squillante quando ho iniziato la visione di Moon, thriller sci-fi indipendente inglese del 2009. Che è successo una volta arrivato ai titoli di coda? Che ho dovuto ammettere che Moon mi è piaciuto, nonostante il tasso "alternative" che lo circonda. Cose che non ho gradito ne ho trovate, intendiamoci, però per onestà intellettuale devo dire che non lo si può liquidare come un film ordinario, modesto, o peggio ancora, mal riuscito (certo, neppure come "il miglior film di fantascienza degli ultimi anni", come mi è capitato di leggere).
Jones ha scritto la storia appositamente per Sam Rockwell, (unico) protagonista, attore che lui ama moltissimo. Ed infatti sul set vediamo praticamente solo lui, conduttore di una base di estrazione mineraria sulla Luna. Ha un contratto di tre anni, poi si ritorna a casa dalla bella moglie (Dominique McElligott) e dalla figlia. Nella base la sua unica compagnia è Gerty, robot simil Hal 9000 (la voce è di Roberto Pedicini, doppiatore di Kevin Spacey, che in lingua originale doppia Gerty). Proprio a scadenza di contratto iniziano ad accedere cose strane, la mente sembra fare brutti scherzi a Sam (il personaggio nel film si chiama come l'attore); complice la stanchezza e delle strane visioni, durante un'escursione sul suolo lunare, fuori dalla base, capita un incidente. Sam si risveglia in infermeria, accudito da Gerty, ma le stranezze peggiorano verticalmente. Esiste un doppio di Sam che si aggira libero e tranquillo per la base, e tra i due inizia una schermaglia di identità, poiché sembrano proprio essere l'uno la copia dell'altro, in tutto e per tutto (affetti e biografie personali comprese).
Moon ha idee, sia per quanto riguarda il plot che soprattutto per la messa in scena, belli gli ambienti, notevole la fotografia, interessante la sfida di "combattere" i 97 minuti di film con un solo attore, in interni. Va anche detto però che, premesso tutto questo, Kubrick, Tarkovskij e Hyams sono dietro l'angolo. Nulla di male sia chiaro, però dato che ad ogni citazione di Tarantino arriva il tribunale dell'Inquisizione ad elencare i capi d'accusa, teniamo conto che pure un "genio" alternativo e indipendente come il figlio del Duca Bianco cita, o perlomeno "si ispira vistosamente a". Gerty, per dirne una (la più evidente e plateale), non può non richiamare alla mente Hal 9000, ma dove sta la furbizia di Jones? Nel rovesciarne la prospettiva, poiché Hal pareva un compagnone e poi si rivela una faina, Gerty parte con lo sfavore del pronostico - visto il precedente di Hal (o, volendo, anche degli androidi di Alien) - per poi rivelarsi un amico leale degli umani. C'è poi tutta la componente filosofica ed escatologica che Jones dispensa nella sua storia, affidata prevalentemente allo scoprire un altro se stesso; come si reagisce, come ci si rapporta ad una copia di se stessi che non vive dentro lo specchio ma ci sta accanto, si muove, respira, prova rabbia e sentimenti e vuole pure interagire con noi?
Scenografie ed ambientazione sono la cosa che più mi ha intrigato di Moon, per essere un film a budget relativamente basso, dunque di quelli più artigianali che hollywoodiani, l'argomento sci-fi rappresentava una sfida temeraria, scadere nel ridicolo, nel non credibile, nell'abborracciato, è un attimo. Invece Jones ha un bel team di mestieranti che rende la Luna e tutte le apparecchiature tecnologiche credibili, semplici ma credibili (e la semplicità è dovuta anche al fatto che siamo in un contesto "operaio", quindi grandi effetti speciali sarebbero stati solo mera esibizione di pirotecnica). Anziché ammazzarsi di costosa computer grafica Jones ha ricreato dei modellini, una cosa molto old school, che però funziona da Dio.
La musica minimal e rarefatta, con melodie di piano insistenti, ha spezzato il cuore a tanti, invece a me ha lasciato freddino. Mi ha pure un po' rotto i co...sidetti, perché insiste ruffianamente sul versante struggimento dell'anima; tralascia del tutto l'epico ed il misterioso, sonorità connesse naturalmente all'avventura ed all'esplorazione tipiche delle ambientazioni spaziali, per concentrarsi esclusivamente sul versante "intellettuale" della storia vissuta da Sam, quasi a dire che cosmo o pianerottolo di casa sua sarebbero stati lo stesso, la magnificenza del contesto incide poco, il focus è tutto dentro il personaggio e non fuori. E questo fa molto "alternativo". Sam Rockwell poi è senza ombra di dubbio un bravo attore, ma gigioneggia vistosamente nell'interpretare uno dei suoi doppi (quello malaticcio); chiaro che si rendeva necessario caratterizzare il più possibile i personaggi proprio per evitare una sterile sovrapposizione ma, nel caso del Sam più anziano, Rockwell calca tantissimo la mano, pare un tossico stracotto. Non manca ovviamente la tiritera sulle multinazionali bastarde. Jones ha già messo in conto un sequel che dovrebbe partire prima da un graphic novel per poi tradursi in un film e, se proprio la vogliamo dire tutta, gradirebbe concludere con un terzo episodio la sua escursione nella fantascientifica, costituendo una trilogia compiuta. Temo che non ci libereremo troppo facilmente del Duchino Bianco.