Matrix

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I (le) Wachowski strapparono il si alla Warner Bros per Matrix (60 milioni di dollari di budget stimato) dopo il successo ottenuto con il torbido Bound, non sarebbe stato facile altrimenti convincere uno Studio hollywoodiano ad imbarcarsi in un progetto tanto ambizioso, nei contenuti, nella forma e soprattutto nei costi, per altro affidandone le redini ad una coppia di fratelli registi pressoché esordienti. La classica scommessa che nessuno vorrebbe dover giocare ma che poi tutti devono vincere. Si andò a girare in Australia, per abbattere le spese, tirando dentro in co-produzione la locale Village Roadshaw Pictures. Prima ancora dei ciak la pre-produzione del film fu un vero e proprio Vietnam. I (le) Wachowsky, inflessibili e integralisti, pretesero la lettura delle fonti letterarie e metascienrifiche prima ancora che gli attori prendessero in mano la sceneggiatura. Ecco allora Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Ann Moss e Hugo Weaving a sfogliare Simulacres et Simulation di Jean BaudrillardOut of Control: The New Biology of Machines, Social Systems, and the Economic World di Kevin Kelly, Introducing Evolutionary Psychology di Dylan Evans e Oscar Zarate, oltre a Platone (La Caverna), Cartesio (Meditazioni Metafisiche), Kant (Critica Della Ragion Pura), Alice nel Paese delle Meraviglie e dozzine di altri riferimenti, da Kubrick a Lang, da Escher ai manga e ai film di arti marziali giapponesi.

Terminata la parte "culturale" andava implementata quella fisica; venne così assunto il preparatore atletico Yuen Woo Ping, coreografo cinese di arti marziali, il quale allenò per mesi il cast, personalizzando su ognuno di essi uno stile di combattimento. Di Reeves esaltò disciplina e senso del sacrificio, di Fishburne la resilienza, di Weaving la precisione, della Moss la velocità e la leggerezza connesse alla sua corporatura femminile. Durante il training sia Reeves che Weaving subirono interventi chirurgici e dovettero gestire la convalescenza in concomitanza con gli allenamenti. Ancora non eravamo neanche al giorno uno di riprese e già la mole di lavoro pensato, scritto e prodotto era imbarazzante. Un miliardo gli aspetti formali e sostanziali di cui doversi curare, un macigno che avrebbe schiacciato qualsiasi regista, ma i (le) Wachowski con diligenza coprivano come formichine ogni metro di Matrix, kilobyte dopo kilobyte. Come rendere immediatamente percettibile la differenza tra mondo reale e il mondo digitale di Matrix? Semplice, dominante blu e dominante verde (tipica dei primi monitor monocromatici). Polarizzazioni geometriche, architettoniche, persino in termini di abbigliamento e acconciatura dei personaggi, nonché uso di lenti specifiche volte a valorizzare ora lo sfondo ora le figure in primo piano, vengono adottate in modo similare, scena per scena.

Sei mesi tra il primo e l'ultimo ciak, paradossalmente la parte meno importante di tutto il progetto. Decisamente più maestosa la fase di post produzione, con i suoi effetti speciali, visivi e sonori ed il cesello maniacale di ogni minimo millimetro del fotogramma (anche se imperfezioni sopravvivono. Ne volete una? Nella scena in cui Joe Pantoliano sta a cavalcioni di Fishburne e sproloquia togliendosi qualche sassolino dalla scarpa, Fishburne dovrebbe essere in quella catalessi da connessione a Matrix, tuttavia si vede benissimo, benché di trequarti, che non riesce ad impedire il movimento della palpebra destra, tradendo la sua veglia). I personaggi dominano spazio e tempo, la più celebre evidenza di ciò è il fenomeno passato alla storia (di celluloide) come "bullet time", ovvero una complessa interazione di slow motion e velocità normale, ottenuta dall'uso di camere multiple in sincronia progressiva, col risultato finale di generare scene estremamente dinamiche e ritmate dal forte contrasto (eredità derivante perlopiù da Akira di Otomo Katsuhito). Ritmo e dinamicità vengono ulteriormente espanse dalle musiche, tanto quelle create appositamente per il film da Don Davis, quanto i brani di Rammstein, Rob Zombie, Propellerheads, Ministry, Prodigy, etc.

Matrix è un grande film di fantascienza (distopica e cyberpunk) che, senza senno di poi, era una grande scommessa. Troppo fighetto per appassionare l'ortodossia sci-fi, troppo filosofico e sci-fi per appassionare i fighetti innamorati magari più del cappottino in pelle di Fishburne o del taglio di capelli della Moss che della vera essenza narrativa e/o tecnologica del film. Invece, secondo misteriose congiunture spazio-temporali, è esploso letteralmente in mando ai suoi autori, trasformandosi nel film che ha segnato il proprio decennio e ipotecato il successivo, nel nuovo totem spartiacque della fantascienza cinematografica, oltre ad infestare come un'edera rampicante una quantità industriale di altre aree di influenza. Persino certi atteggiamenti nella politica italiana odierna (20 anni dopo Matrix) sono figli di quel film lì - non solo, ma anche - della paranoia da complotto globale al quale contrapporre un esercito fideistico e dogmatico di liberazione dal giogo dell'oppressione, tanto più perversa e velenosa perché cibernetica e metafisica anziché fisica e concreta, con catene visibili ai piedi e manette ai polsi. Quella maledetta pillola rossa che svela la verità del mondo dietro il paravento della simulazione digitale di Matrix è diventata una religione fin troppo vera per qualcuno e forse ha cambiato per sempre la nostra percezione dello stare al mondo e del convivere con il nostro prossimo.

Colpa di Matrix e dei (delle) Wachowski dunque? Beh no, colpa delle menti facilmente impressionabili e dei pochi strumenti culturali. Internet fa e disfa, veicola qualsiasi informazione, distrugge verità scientifiche e ne erige di nuove, totalmente strampalate, illogiche ed inverosimili, ma proprio per questo gettonatissime dalla annoiatissima popolazione del pianeta Terra. Matrix fondamentalmente è una grande gelatina osmotica che metabolizza al suo interno e risputa fuori buddismo, gnosticismo, induismo, giudaismo, cristianesimo; cosa sarebbe l'eletto Neo se non il nuovo salvatore cristologico, sebbene riveduto e corretto all'insegna delle grandi filosofie orientali? La sua compagna si chiama addirittura Trinità (e non credo si trattasse di un omaggio a Sergio Leone). Baudrillard, grande saccheggiato dai (dalle) Wachowski, in realtà ha affermato che il film ha distorto e mistificato il suo lavoro, ma il fruscio roboante delle banconote generato dal successo di Matrix ha completamente cancellato questo rumore di fondo. E in fondo - perdonate il calembour - a chi frega che il lavoro di tal Baudrillard non sia stato pedissequamente rispettato, parola per parola, nella sceneggiatura di un film di Hollywood del 1999? Alcune trovate sono autentiche perle di genio, bisogna ammetterlo, come l'appaiare quella sensazione di deja-vu che tutti abbiamo provato almeno una volta nella vita ad una falla di Matrix, quando in modo imprevisto ed improvviso la trama di programmazione cambia per qualche motivo. Il termine "Matrix" comunque come derivazione va attribuito probabilmente al Neuromante di William Gibson (sebbene già nel '69 fosse comparso nel romanzo poliziesco The White Room di L.P. Davies), così come sono state evidenziate le relazioni piuttosto insistenti tra l'aspetto concettuale del film ed il lavoro di Philip K Dick (il quale nel '77 affermava proprio che vivessimo in una realtà generata dai computer e che l'unica prova di ciò fossero le fugaci imperfezioni di questa trama che di tanto in tanto ci è dato di cogliere, per l'appunto.

Furbescamente i (le) Wachowsky mettono continuamente in bocca ai loro personaggi citazioni e parafrasi di filosofi, maître à penser globali e redattori di bigliettini dei Baci Perugina, generando un ininterrotto flusso di effetti rebound di cose già sentite, familiari e dunque percepite come verità epifaniche che avevamo sempre percepito ma mai messo a fuoco. Anche questo contribuisce al "fenomeno" Matrix che diventa un vero e proprio caso ben oltre la sala cinematografica, sconfinando e invadendo stampa, tv, videogiochi, costume e società e influenzando centinaia di altri film a posteriori. Inevitabile la costruzione di una trilogia (anche perché intelligentemente il primo film costruisce e pone le basi ma è ben lungi dallo sviluppare una storia autoconclusiva). Ora pensate a Will Smith che rifiutò il ruolo di Neo perché "non capiva il senso del film" (ruolo che come prima scelta vide Brandon Lee). Personalmente non posso che esprimere un giudizio entusiasta sul film, pur consapevole di quanto sia una gigantesca operazione strategicamente pianificata a tavolino proprio per accalappiare quanto più pubblico possibile; rimane comunque un monumento all'ingegno umano, tanto nella forma quanto nel contenuto; ammirevole e soprattutto totalmente rispondente al suo obiettivo primario (soddisfatto al 200%), intrattenere. Un film assai meno superficiale di quello che si pensa, che gli viene attribuito o che il nostro cervello ricorda magari a distanza di lustri e lustri dalla prima visione; allo stesso tempo un film assai meno profondo di come viene dipinto da qualcuno, che ci vede dentro addirittura una sorta di nuova Bibbia esistenziale. Insomma, tutto e niente, la vera forza segreta di Matrix.

Trailer ufficiale

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