Le Evase – Storie Di Sesso E Di Violenze

Le Evase – Storie Di Sesso E Di Violenze
Le Evase – Storie Di Sesso E Di Violenze

Le Evase - Storie di Sesso E Di Violenza (1978) è l'unico film diretto da Giovanni Brusadori (con lo pseudonimo di Conrad Brughel). Attore, doppiatore, autore teatrale, qui si cimenta come un vero outsider con un genere ben preciso, quello del W.I.P., con la particolarità però che, per essere un Women In Prison movie, manca la prison, o meglio, viene ricreata in modo surrogato. Il film infatti inizia proprio con la fuga di 4 donne dal carcere; gli eventi portano le 4 evase a scontrarsi con un squadra di tennis femminile diretta ad un torneo regionale. Le malviventi prendono in ostaggio le giovani ragazze (più presidente e autista del pullman) e si rifugiano in una villa nella zona di Salsomaggiore, in attesa che si calmino le acque. Qui, dovendo badare a una dozzina di prigionieri, le evase rinchiudono tutti in una specie di rimessa sotterranea, con tanto di sbarre e cessi alla turca (ecco che si ricrea l'ambientazione carceraria). Nel frattempo la Polizia scova il rifugio, proprio mentre le dinamiche tra le 4 bandite prendono una piega sempre più complicata.

Mentre Brusadori dirige il film avviene il sequestro Moro; sono gli anni di piombo, e la nuova lettura del genere W.I.P. prende una piega più politica, inerente alla realtà, all'andazzo della società italiana coeva. Ecco che tra le quattro criminali, la capobanda è una terrorista (mal voluta però dalle compagne). Non vengono mai citate, ma il riferimento alle Brigate Rosse è fin troppo ovvio; protetta da un'organizzazione alle spalle (che infatti favorisce l'evasione), Lilli Carati si sobbarca questo ruolo, infarcendo i suoi dialoghi di sproloqui politici fanatici e visionari. Non trova sponda però, né con le altre 3 evase, poveracce qualsiasi che non volano così alto, ma si barcamenano micragnosamente con fatti di microcriminalità, né tantomeno col giudice (Filippo De Gara) la cui villa diventa il nascondiglio delle donne. Il magistrato diventa il simbolo del potere borghese e capitalista, e tra i due si ripetono gli scambi a colpi di guerriglia culturale e ideologica. Tra le prigioniere le reazioni sono varie, chi disprezza la violenza del terrorismo, chi la appoggia apertamente, chi ne è stato affascinato in gioventù ma poi ha cambiato idea. Insomma, Brusadori cerca di ricreare quel calderone che era l'Italia degli anni '70, con tutte le sue contraddizioni, le sue paure, i suoi scheletri nell'armadio.

Per stessa ammissione del regista, i dialoghi in fase di doppiaggio vengono visti e rivisti molte volte, proprio nel tentativo di inseguire l'attualità e far stare il film al passo coi fatti e gli eventi. Nonostante questo (o forse proprio per questo) il risultato è un po' maldestro; l'impressione è quella di un collage di citazioni e articoli di giornale presi e riproposti in sceneggiatura, con frasi sentenze e affermazioni scontate, grossolane e sommarie. Le Evase gioca su più fronti, l'azione, l'erotismo, il genere "carcerario" al femminile; non mancano neppure commissari e Giuliette della Polizia. Le scene d'azione sono poche, ma tutto sommato efficaci, in particolare il tentativo di fuga della Kerowa e di Ferrer (mentre l'evasione ad inizio film è bruttarella, con le quattro donne che corrono per la campagna a perdifiato, e che nella realtà sarebbero state riprese anche da un branco di lumache). L'erotismo abbonda, grazie ad un cast femminile assai gradevole. La Carati, Marina Daunia, Ada Pometti (elegante la prima, perversa la seconda, ruspante la terza) hanno diverse scene di sesso, con nudi integrali, ma solo nel caso della Pometti si tratta di sesso etero, altrimenti, come da copione per il W.I.P., i rapporti lesbo (coatti e non) dominano. C'è pure Dirce Funari, vittima designata della libido della Daunia (anche qui, come previsto, inizialmente refrattaria, poi decisamente accondiscendente).

La Kerowa si segnala solo per un bagno caldo (sebbene sotto lo sguardo voglioso sempre della mai doma Daunia). La Carati subisce uno stupro da parte di De Gara, piuttosto risentito per essere stato umiliato precedentemente dalla donna (costretto a farsi la pipì addosso davanti a testimoni, in una scena drammatica piuttosto forte). Tra i due il rapporto è di continua sopraffazione, fisica e - per proprietà transitiva - sociale, autorità contrapposta a insubordinazione rivoluzionaria, potere istituzionale contrapposto ad estremismo politico. Non brillantissima la traduzione di questo conflitto sul prevedibile piano della violenza sessuale, come se tutto dovesse limitarsi sempre e soltanto a quello, la supremazia genitale. E per altro risulta pure sgradevole constatare che dei due il personaggio torbido, ambiguo e pure un po' vigliacco, è il magistrato, mentre la "terrorista" è dipinta in modo assai più nobile e leale (sul finale si instaura anche una inquietante solidarietà tra la Carati, la Kerowa e Ines Pellegrini). Segno che le vicende del brigatismo e dell'estrema sinistra avevano in qualche modo fatto breccia nelle menti di una certa "intelligenza" intellettuale dell'epoca.

La vicenda non sempre regge sul piano della credibilità, sono tantissimi i momenti in cui le quattro evase potrebbero essere neutralizzate dai propri ostaggi; tuttavia in qualche modo si arriva sino al finale, con inesorabile resa dei conti, interna ed esterna, e con chiusura del film su di un fermo immagine carico di tensione (pratica che ho già segnalato per altri titoli, come ad esempio Camping Del Terrore o Orgasmo Nero). Bella la colonna sonora di Pippo Caruso.

Trailer ufficiale

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