L’Angelo Nero

L’Angelo Nero
L’Angelo Nero

Roy William Nell ha girato un centinaio di film, è stato anche produttore e sceneggiatore, le sue origini erano irlandesi ed il suo vero nome era Roland De Gostrie. Ha diretto molti film a basso budget (che gli hanno fatto guadagnare il nomignolo di re del thriller horror britannico anni '30), è ricordato prevalentemente per le storie di Sherlock Holmes (1942 - 1946) interpretate da Basil Rathbone e Nigel Bruce. Il film con il quale conclude ufficialmente la carriera è L'Angelo Nero, un thriller dalla forti tinte drammatiche ritenuto a tutti gli effetti un noir. La storia verte attorno all'omicidio della cantante di night Mavis Marlowe (Constance Dowling). Dalla stanza del suo albergo subito dopo l'omicidio viene visto sgattaiolare il suo spasimante Kirk Bennett (John Philips), il quale viene immediatamente accusato di omicidio. Il processo che ne segue lo condanna all'esecuzione capitale. Nel tempo che intercorre tra la sentenza e il giorno dell'esecuzione, sua moglie Catherine (June Vincent) cerca le prove per scagionarlo. Dapprima cerca di provare che l'omicida sia il marito rifiutato dalla Marlowe, Martin Blair (Dan Duryea), ma questi ha un alibi di ferro. Tuttavia tra i due si crea una sorta di solidale alleanza ed insieme si mettono a caccia dell'assassino.
- SPOILER: credono di individuarlo nel tenutario del night della Marlowe, Marko (Peter Lorre). Questi ha degli scheletri nel suo armadio (anzi, in cassaforte per l'esattezza) ma non è l'assassino. In un finale convulso, Blair ricorderà finalmente cosa è accaduto quella notte, mentre era ubriaco; Mavis è morta strangolata per sua mano.

L'Angelo Nero è un autentico splendore, nonostante i 74 anni che si porta sulle spalle. Certo, fa un po' impressione pensare quanto sia "vecchio", ma allo stesso tempo il bianco e nero di questa pellicola ne costituisce anche il suo fascino. I protagonisti sono di grandissima statura. June Vincent è da perderci la testa, Dan Duryea è forse l'unico personaggio minimamente ironico, anche se la sua storia a conti fatti è la più drammatica di tutte, Peter Lorre ha una faccia ed una presenza fisica imbattibili (sarà per sempre M il mostro di Dusseldorf, pur avendo girato decine e decine di film in carriera). La sceneggiatura deriva da un romanzo di Cornell Woolrich il quale tuttavia non rimase colpito positivamente dalla trasposizione cinematografica, anche per via del fatto che tutta la parte centrale del film è diversa rispetto al racconto. I rapporti umani sono all'insegna dell'opportunismo e della freddezza. Duryea si innamorerà della Vincent nonostante questa sia devota al marito, al quale crede ciecamente, a dispetto del boia. Per quel poco tempo che la Dowling occupa lo schermo lo fa da vera femme fatale, degna di una Veronica Lake. Belli i costumi, magnetiche e suggestive le atmosfere, le location sono sostanzialmente tutte in interni. Appena 81 minuti ma di una intensità pazzesca, ardenti, malinconici e un po' crudeli. Il finale rifugge qualsiasi idea di happy ending lasciandoci attanagliati dall'amarezza.e prigionieri della ineluttabilità.

Trailer ufficiale

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