L’Amico D’Infanzia

L’Amico D’Infanzia
L’Amico D’Infanzia

Tra il '93 ed il '96 Pupi Avati rimette in circolo un po' di adrenalina nel suo cinema, sempre più indirizzato verso tenerezze, languori malinconici e nostalgie poetiche. Fatta eccezione per Dichiarazione D'Amore, il regista bolognese mette in fila Magnificat, L'Amico D'Infanzia e L'Arcano Incantatore, tre pellicole molto eterogenee. Medievale, agreste e millenaristica la prima, esoterica e misteriosa l'ultima. Nel mezzo un thriller di estrazione prettamente americana (anche se parte del cast tecnico e artistico è italiano), ovvero L'Amico d'Infanzia. Avati spesso si innamora di questi soggetti apparentemente avulsi dal suo cinema e riesce testardamente e sapientemente a costruirci sopra storie e progetti. Se nessuno vi dicesse che il film è una sua produzione non vi trovereste alcun elemento immediatamente riconducibile alla cifra avatiana.

Siamo tra Chicago (Illinois) e l'Indiana. Un anchorman televisivo si è tolto la vita e il network annaspa per sostituirlo alla conduzione dello show serale in prime time. Il suo posto viene preso da un caro amico del defunto, Arnold Gardner (Jason Robards III), per la verità piuttosto restio ad apparire in video e non esattamente affine alle politiche editoriali aggressive e ciniche dell'emittente. Puntata dopo puntata Gardner conquista il pubblico con un giornalismo pungente e con la schiena dritta. La sua popolarità scatena però anche la bellicosità di uno stalker che sembra provenire dal suo passato e conoscerlo molto bene. - SPOILER: Gardner ha alcuni scheletri nell'armadio e il suo ex compagno di liceo Eddie Greenberg ha una gran voglia di spolverarli e metterli in pubblico. All'epoca del Liceo i due drogarono ed abusarono di una ragazza della quale era infatuato Eddie ma che a sua volta era innamorata di Arnold. A seguito di una gravidanza imprevista, la famiglia della ragazza estorse diversi soldi a Arnold e sostanzialmente costrinse Eddie a sposarla. Tra i due compagni venne stretto un giuramento, Arnold sarebbe andato a Chicago per trovare fortuna e avrebbe poi tirato fuori dalle beghe Eddie. Arnold però si volatilizza per 20 anni, fino a quando un ormai malato terminale Eddie lo vede in tv e decide di perseguitarlo per screditarne la reputazione.

L'Amico D'Infanzia è un thriller dove non c'è niente da scoprire, chi fa cosa (e perché) lo appuriamo in tempo reale, senza flashback o colpi di scena nel finale. I personaggi raccontano normalmente i fatti, disinnescando qualsiasi meccanismo thriller e depotenziando ogni elemento di tensione eventualmente presente nel film. E' evidente come ad Avati non interessi quel tipo di impostazione, quanto piuttosto se ne serva, la lambisca, per raccontare altro, una vicenda drammatica, dove il punto nevralgico è il riaffiorare dal passato di eventi sepolti e affatto graditi. In questo senso il film funziona, ovvero inteso come una gigantesca macchina del fango un po' kafkiana in cui progressivamente il protagonista rimane invischiato e per colpa della quale infine si vede costretto a capitolare. Quanto accaduto nel suo passato mette in discussione i suoi affetti familiari, il suo lavoro, la sua figura pubblica; in sostanza la sua intera vita. Arnold Gardner non è un eroe, non è un uomo qualunque, non è una figura positiva. E' scorbutico, ambiguo e col prosieguo della storia appare chiaro come sia anche moralmente poco limpido. Avati ci risparmia l'uomo buono, è quasi più facile empatizzare con il persecutore che con la vittima, tuttavia il nodo scorsoio che passo dopo passo gli stringe il collo rimane asfittico e angosciante, anche se rivolto ad una persona non proprio esemplare.

La regia ha un sapore un po' televisivo, vuoi perché magari Chicago non era l'Emilia che Avati conosce a menadito e nella quale si sente indubbiamente assai più a suo agio, vuoi perché il registro del thriller puro nemmeno gli è congeniale (Avati sfrutta pochissimo il discorso dei Media, che lo avrebbe potuto portare nella direzione di un Quinto Potere, per dire), vuoi anche perché tutti gli anni '80 televisivi ci hanno abituato a talmente tante serie poliziesche che pensare di essere dentro una tv anziché tra i fotogrammi di una pellicola è un attimo. Non ci sono guizzi particolari nel girato, tutto molto ordinato, regolare, formale, a tratti un po' freddo e asettico. La mano di Avati però è quella di uno che i film li sa fare e dunque non si arriva al termine dei 100 minuti con una gran fatica. Bruttina la locandina.

Trailer ufficiale

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