
L'Alcova (1985) è un paccosissimo erotico un po' velleitario col quale Joe D'Amato cerca di inserirsi in scia di Tinto Brass. Come è spesso accaduto a D'Amato, annusato un film che fa successo, lui tenta di riproporlo a modo suo, vedi gli Emanuelle con una M sola, vedi il Caligola (sempre all'inseguimento di Brass), i fantasy alla Conan, gli pseudo Mad Max (con annesso crossover di 1997: Fuga Da New York), 9 Settimane E 1/2 (trasformato in Undici Giorni, Undici Notti, mentre il suo seguito Top Model cita un po' Working Girl), Attrazione Fatale (che diventa Ossessione Fatale...e con Massaccesi è andata bene che con la desinenza in -ale non andasse a finire in un altro modo...), Wall Street (replicato con La Signora Di Wall Street), eccetera. L'Alcova è La Chiave di Massaccesi, le analogia sono parecchie; se La Chiave è tratto da un romanzo del giapponese Tanizaki (anche se poi Brass lo stravolge pesantemente), pure L'Alcova deve essere tratto da qualche cosa, e così D'Amato inventa di sana pianta una derivazione letteraria assolutamente farlocca, da tale Judith Wexley. Stessa operazione per altro che metterà in piedi per la inesistente Sarah Asproon di Eleven Days, Eleven Nights / Top Model. L'ambientazione è anni '30, ne La Chiave eravamo alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale ('39), in L'Alcova siamo all'indomani della conquista dell'Abissinia ('35-'36), dunque medesimo humus fascista, medesimo contesto sociale alto-borghese. Al posto della Sandrelli (37enne ne La Chiave) abbiamo Lilli Carati (all'epoca 29enne), un ideale passaggio di staffetta tra due donne molto belle, burrose ed estremamente sensuali. D'Amato spinge al massimo i limiti del soft core brassiano, imbrigliandosi quasi malvolentieri ai confini con l'hard.
La trama vede Al Cliver di ritorno dalle battaglie d'Africa; alla villona di campagna lo aspettano la moglie (Carati) e la bella segretaria (Annie Belle). Le due, in mancanza di materia prima, hanno ingannato l'attesa dedicandosi a focosi rapporti saffici. Oltre ai tanti doni caratteristici della terra Etiope (tappeti, maschere, falli tribali), Cliver porta con sé anche una novità destinata a sconvolgere i già precari equilibri familiari. Una principessa indigena, donatagli come schiava personale da un capo tribù. La preda africana è Laura Gemser (un po' improbabile viste le origini indonesiane), subito costretta alle faccende domestiche. Lilli Carati ne subisce immediatamente il fascino, mentre Annie Belle la teme come una minaccia. Se infatti la Belle è sinceramente innamorata della padrona di casa, la Carati va in cerca di sollazzevoli divertimenti, indipendentemente che si tratti del marito, della segretaria o della esotica pelle d'ebano africana. Col passare dei giorni però tra la Gemser e la Carati si instaura un rapporto sempre più morboso, tanto che le polarità di dominazione si invertono e, nei fatti, Lilli diventa la schiava della Gemser, che la possiede e la manipola con il sesso. Cliver è sempre più distratto dalle sue beghe finanziarie e dalla scrittura di un libro di memorie di guerra; dopo la visione di un proto-filmino porno, Cliver decide di girarne uno in casa con il suo tris di donne, ma.... - SPOILER: durante le riprese, su suggerimento della perfida Gemser, Annie Belle viene stuprata dal giardiniere della villa (il grezzissimo Nello Pazzafini). La Belle, traumatizzata e inviperita contro tutti i membri della casa per molteplici motivi, si raccomanda al figlio di Cliver - da sempre innamorato di lei - e guida la vendetta verso i suoi carnefici. Finalone escatologico e metacinematografico, con la Gemser bruciata dalle fiamme sprigionate della pellicola zozza (il cinema porno ha ucciso quello erotico....).
Complessivamente il film è lento e pure un po' noioso, i dialoghi non sempre convincono, c'è un senso di stanca nei 90 minuti circa di durata. Lilli è bellissima, in splendida forma, e la sua presenza è certamente il motore trainante del film. Purtroppo dopo l'86 (terminata l'antologia di erotici massaccesiani Il Piacere, Voglia Di Guardare e Lussuria), sarà costretta a passare al cinema hard tout court. Molto stuzzicante anche la Belle, sebbene personalmente non l'abbia mai gradita troppo (soprattutto nella sua fase rasatissima iper blonde). La Gemser non ha più la freschezza degli anni '70, è completamente fuori ruolo e le battute che le vengono messe in bocca hanno un sapore involontariamente ridicolo per via dell'italiano stentato del suo personaggio. D'Amato qui si dedica quasi esclusivamente a scene lesbo; i rari accenni eterosessuali sono quelli della prima (e unica) copula tra la Carati e Cliver al ritorno dalla guerra e gli approcci del giovane Furio con la Belle. Per il resto sono le tre donne di casa a spartirsi il boudoir. Ah no....c' pure una breve (e casta) masturbazione coatta della Belle al povero Cliver, escluso dai giochini di letto delle Gemser e della Carati. Anche nei momenti di erotismo non sale di molto la temperatura, è più una questione di "familiarità"; da cultore del cinema di genere, la consonanza con la Carati, la Gemser e la Belle è tale che quando si assiste ad una loro scena d'amore è un po' come essere in casa, tra gli affetti familiari. Va anche detto che la versione Avo del film è parzialmente tagliata, non si vede ad esempio il super fallo posticcio che Pazzafini esibisce ai danni della povera Belle (ma Pazzafini non amava che si dicesse che non fosse roba sua). Mentre invece si vedono gli spezzoni di "cinema verità" del filmino hard anni '30, una sorta di neorealismo porno fascista. Nonostante le atmosfere dannunziane, L'Alcova rimane un film riuscito un po' così, gran cura per scenografie e ambienti, un finale sicuramente d'effetto ma mozzo, troppe potenzialità inespresse, o espresse male. Da citare assolutamente la vedova di guerra (...chi è?) da cui si reca Cliver per l'acquisto delle pellicole spinte, una roscia un po' agée che, morto il marito, si ricicla come meretrice assai dotata. Un momento trash di alto lirismo.