La Spia Che Venne Dal Freddo

La Spia Che Venne Dal Freddo
La Spia Che Venne Dal Freddo

Se siete abituati ai film di spie all'insegna del glamour, del fashionismo e dell'azione smodata, potreste e dovreste prendere in considerazione l'idea di vedere La Spia Che Venne Dal Freddo (1965), con Richard Burton, tratto dall'omonimo romanzo di Le Carré. E' un film di Martin Ritt ma potrebbe tranquillamente trattarsi di Orson Wells (e per uno di seconda fila come Ritt è un complimentone). La Spia Che Venne Dal Freddo è il film antispionistico per eccellenza, per svariati motivi, formali e sostanziali, e del resto non sarebbe potuto essere altrimenti vista la genesi derivante dalle pagine di Le Carré, il quale per primo imprime alla vicenda un tono volutamente anticonvenzionale (rispetto alle spie hollywoodiane del periodo) e strettamente aderente al vero, quasi in odore di cronaca documentaria. La trama è ingarbugliatissima, ma soprattutto è occultata ad arte; gli accadimenti vengono svelati poco a poco, proprio mentre si verificano. I vari protagonisti della vicenda non sanno molto di più degli spettatori, sono parte di un ingranaggio enormemente più grande di loro, vengono manovrati ed anche gettati via all'occorrenza. Si va a tentoni nel buio e questa condizione genera ansia, scoramento e a tratti persino disperazione. Il clima non è per niente epico ed eroico, non siamo tra difensori della libertà che si battono il petto e combattono cameratescamente spalla a spalla contro il nemico abietto, qui abbiamo un mucchio di topolini ciechi che cercano di portare a casa la pelle e possibilmente qualche briciola, senza neppure avere idea di chi diavolo sia esattamente il nemico (men che mai gli amici i quali, tendenzialmente, sono solo futuri potenziali nemici).

E' tutto un gigantesco SPOILER, quindi proseguite nella lettura solo a vostro rischio e pericolo (il nemico vi osserva!): Alec Leamas (Richard Burton) è stato un agente segreto di sua Maestà per anni, distaccato a Berlino in piena guerra fredda. Ora fa il bibliotecario a Londra, è un ex galeotto alcolizzato e totalmente scarico, senza più apparenti motivazioni per vivere. Una potrebbe diventare la sua collega Nancy Perry (Claire Bloom), iscritta al Partito Comunista inglese, ma c'è da fare i conti con la missione che gli è stata assegnata. Leamas sta recitando una parte, quella dell'agente disilluso ed amareggiato, emotivamente debole e pronto al tradimento, se preso per il verso giusto (quello finanziario). Al centro del complotto c'è Hans-Dieter Mundt, un disertore della Germania comunista, in realtà uomo del servizio segreto britannico. I comunisti stanno per smascherarlo, mediante le solerti indagini di Friedler, ovvero proprio il braccio destro di Mundt. Viene dunque ordita una gigantesca macchinazione per screditare Friedler e ripulire il buon nome di Mundt. Leamas e la Perry sono due importanti pedine di questa partita a scacchi. Solo a ritroso però sarà possibile ricostruire compiutamente l'accaduto. - SPOILER dello SPOILER: una volta incriminato Friedler, con processo segreto a Berlino, Mundt lascerà fuggire Leamas e la Perry verso ovest ma, proprio quando stanno oltrepassando il muro, la Perry viene cinicamente freddata da una smitragliata, e Leamas, forse addirittura scientemente, si lascerà uccidere allo stesso modo.

L'approccio al genere spionistico è totalmente stravolto. Le Carré, e fedelmente Ritt, dipingono un paesaggio desolante e frustrante, fatto di mancanza di motivazioni e soprattutto di ideali. Una routine noiosa e sfiancante. Di azione manco a parlarne, è tutta una questione di attese, spostamenti, interrogatori, camere spoglie in cui soggiornare, sguardi torvi e minacce più o meno velate. Non ci sono le Aston Martin piene di diavolerie tecnologiche, non ci sono le sgnacchere in abito da sera che profumano di Chanel, non ci sono i villain da fumetto, non ci sono gli smoking di Armani e Versace, non c'è il jet set ad accoglierti mentre sopra monta una musica scicchissima. Ritt gira addirittura in un mesto bianco e nero, nonostante all'epoca impazzasse il technicolor. La Spia Che Venne Dal Freddo non è un film di propaganda anticomunista, non più di quella antioccidentale perlomeno. Control, il capo di Leamas, esprime una serie di considerazioni indicative a tal riguardo; afferma che, con la fine della guerra, i metodi dei due blocchi, Est ed Ovest, sono diventati sempre più simili, pericolosamente sovrapponibili, ed all'insegna del male e dell'inganno, non certo del giusto e del moralmente corretto. Le Carré, a sua volta membro dell'MI6, conosce bene la vita della spia e parteggia per quegli uomini più che per le potenze che li manovrano. Li descrive in tutta la loro pochezza umana; lo fa per bocca di Leamas, che li raffigura come dei mezzi mostri, ubriaconi, pervertiti, avidi e pieni di mille altri difetti. I temi musicali del film sono cupissimi e contribuiscono al senso di disagio generato dall'insieme. L'andatura è lenta e paradossalmente il film fa di tutto per scontentare lo spettatore. Seppur immerso in un'eleganza formale assoluta, sembra proprio voler convincere chi guarda che nella vita dell'agente segreto ci siano solo rogne e seccature, nulla di mitizzare. L'unica concessione al glamour è fuori dal set; il personaggio interpretato dalla Bloom nel romanzo si chiama Liz Gold, ma fu deciso di cambiare il nome in Nancy Perry per evitare qualsiasi riferimento a Liz Taylor, burrascosa moglie di Burton.

Trailer ufficiale

Galleria Fotografica