La Signora Di Wall Street è uno di quegli erotici di Aristide Massaccesi un tanto al chilo, produzione low budget, attori presi al mercato del pesce di Los Angeles, dialoghi scritti sull'autobus mentre andava sul set, inquadrature fatte 'ndo cojo cojo. Non è tutto così, ma buona parte è così. Dice che D'Amato si sia ispirato a Wall Street di Oliver Stone e infatti la trama narra le gesta di una rampante donna della finanza iuessei che la dà a destra e a manca per ottenere preziose informazioni di borsa e compiere operazioni di insider trading che le portano soldi, potere e posizione sociale. La lei è Tara Buckman (regina dei serial tv americani, da Kojak a Chips, da Quincy ad Agenzia Rockford, e pure Buck Rogers), una bionda sulla quarantina, non bellissima ma con un fisico scolpito. Tutta l'ambientazione è clamorosamente anni '80, sul pacchiano andante (i vestiti e le acconciature sono al limite del kitsch), infatti i computer sono praticamente il Sapientino Clementoni e producono 24 ore su 24 l'irritante rumore di un modem 56k. Insopportabile la "splendida colonna sonora firmata da Piero Montanari" (come recita la didascalia sul dvd), una continua musichetta irritante che soggiace ad ogni scena, ogni dialogo, ogni foglia che cade, nel tipico stile anni '80, quando si aveva il terrore di un minuto di silenzio, di un dialogo fatto solo di voci dialoganti, per l'appunto. Inutile dire che nei momenti erotico-romantici scatta virulento il sax, che ammorba le orecchie del malcapitato spettatore. Non c'è niente da fare, negli erotici hanno sempre avuto 'sta fissa del sax, che secondo loro è la morte sua quando arrivano certi dettagli anatomici.
Visto come un prodotto di serie B (facciamo anche C), il film può anche essere godibile, a patto di lasciar correre recitazione (il Ken che si sifona la protagonista è inguardabile, un incrocio tra un paracarro, la Carrà e i gemelli di The Barbarians & Co.), musiche, costumi, dialoghi, fotografia; insomma, a patto di lasciar correre il film, il film è anche godibile. L'erotismo poi è l'aspetto meno riuscito. Massaccesi, faìna irriducibbbile, gira un'unica scena di sesso tra i due protagonisti, la spezzetta e ce la rivoga per tutti i 90 minuti, facendo finta che siano situazioni diverse (si chiama ottimizzazione industriale). Ogni tot vediamo i due, sdraiati, sempre nella stessa posizione, che copulano, per altro senza un minimo di variante o fantasia, tutto sempre uguale, con inevitabile effetto bromuro. Bel balcone lei, per carità, però per essere un erotico è un po' pochino. A completare il tutto, un po' di antani di fanta finanza, così, per far vedere che il gergo tecnico lo masticano come le loro tasche, mica sono lì a pettinare le bambole. Nessuno sul globo terracqueo ha mai più saputo nulla di questo manipolo di grandi interpreti shakesperiani, e peccato, tutti i festival del cinema internazionali li aspettavano a gloria in nuove mirabolanti pellicole. Marco Giusti su Stracult toppa il titolo originale (che è l'altisonante High Finance Woman e non Wall Street Woman).