La Signora In Bianco – Insignificance

La Signora In Bianco – Insignificance
La Signora In Bianco – Insignificance

Nicolas Roeg non è un regista facile, ogni suo film presenta insidie ed ambiguità, piani di lettura stratificati, simbolismi, non-sense apparenti, voluti o puramente estetici, comunque una gran cura della messa in scena e lasciano un grosso punto interrogativo sulla testa dello spettatore una volta esauriti i titoli di coda. La Signora In Bianco, tratto dall'omonima opera teatrale di Terry Johnson (qui incaricato di redigere l'adattamento per lo schermo bianco) non fa eccezione. La storia prende spunto da un vero episodio di cronaca cinefila; quando Marilyn girò la celebre scena della gonna che si alza sulla grata della metropolitana, il 15 settembre 1954 alle 2 del mattino a New York, all'incrocio tra la 51° e Lexington Avenue, per il film Quando La Moglie E' In Vacanza. A proposito di cosa accadde quella notte ho già scritto nella pagina relativa al film e quindi vi rimando a quella per non ripetermi, tuttavia Roeg parte proprio da lì, dalla folla che assedia la Monroe, dalla quasi impossibilità di portare a conclusione il ciak, dalla frattura di Marilyn, triste e depressa nell'animo, ma vivace e spumeggiante all'esterno, e soprattutto dalla grande irritazione che provava Joe DiMaggio, all'epoca suo marito. Siamo esattamente in quel preciso momento, il set è allestito, la confusione è pura caciara, Marilyn (Theresa Russell) si dispone sulla grata, DiMaggio (Gary Busey) mastica amarissimo. Roeg però non assegna nomi e cognomi, e così abbiamo l'attrice ed il giocatore, come fossero due qualsiasi, ma non sono affatto due qualsiasi.

Contemporaneamente in una stanza d'albergo all'ennesimo piano, uno scienziato è assediato da un senatore (rispettivamente, metacinematograficamente parlando, Albert Einstein, ovvero Michael Emil, e Joseph McCarthy, cioè Tony Curtis). Il politico minaccia e ricatta, vuole che lo scienziato sostenga il Governo americano nella corsa atomica, e possibilmente rilasci dichiarazioni delatorie su eventuali minacce comuniste contro gli Stati Uniti. Lo scienziato, al contrario, intende parlare l'indomani ad una conferenza per la pace nella quale avverserà con tutte le sue forze la minaccia nucleare. Lo spunto del film nacque dal ritrovamento di una foto autografata di Einstein tra gli oggetti appartenuti a Marilyn Monroe. Roeg immagina così un ipotetico incontro tra i due, incorniciandolo in un mondo verosimile fatto di maccartismo e riflessioni molto intense sul significato della fama. Sia lo scienziato che l'attrice ne parlano continuamente, desiderando la liberazione dal gioco del successo, della riconoscibilità e della morbosità della gente nei loro confronti. Al netto dell'incipit nelle strade di New York, il grosso del film si svolge nell'appartamento dello scienziato, nel quale hanno luogo i dialoghi tra lui e l'attrice, la quale conosce a menadito la teoria della relatività pur senza averla compresa (l'ha solo imparata a memoria). Sui due incombe il giocatore di baseball, innamorato, geloso e possessivo nei confronti della sua donna. la insegue e la scova a casa dello scienziato, inserendosi su quel palcoscenico e ingarbugliando ulteriormente la storia. A tutto ciò si aggiunge la figura subdola e anguillesca del senatore, sempre sudaticcio, donnaiolo ma impotente.

Roeg chiede tantissimo ai suoi attori. Per la Russell l'interpretazione di Marilyn è un'impresa ai limiti del sostenibile. Non solo non è facilitata dalla minima somiglianza fisica, ma oltretutto deve contemporaneamente incarnare il dualismo spensieratezza/inquietudine di Marilyn, il suo lato pubblico, lucente, e quello intimo, scuro e disperato. Oltre a questo deve aggiungere l'innata carica di erotismo dell'attrice più sexy di tutti i tempi (forse la cosa nella quale la Russell riesce meglio). Intendiamoci, è bravissima e dà il cuore per la sua parte, ma la sfida di Roeg è fuori portata di partenza, anche perché Roeg aggiunge un ulteriore carico, quello di partire dal dato di realtà per intingere di allegoria le acque nelle quali fa nuotare i propri attori. Busey è energico ed impetuoso, grande prova la sua, il rapporto che disegna con la Russell è dolce e ruvido al contempo. Emil si disegna addosso uno scienziato molto vaporoso, lieve, quasi tenero, elevando a potenza la componente più ironica e giocosa di Einstein. Tony Curtis, attore della vecchia Hollywood dal curriculum stellare, si sobbarca un personaggio sgradevole e squallido, al quale non tutti gli attori avrebbero accettato di prestare il proprio volto. Chapeau. Da citare i continui inserti onirici e psichedelici di cui è infarcito il film, i flashback e le vere e proprie visioni allucinatorie ad occhi aperti (su tutte lo scoccare delle terribili 08:15 tanto paventate dallo scienziato). Roeg appaia passato e presente, i quali si influenzano vicendevolmente e di continuo. Tra i momenti borderline tra realtà e sogno c'è anche l'incontro con l'ascensorista (l'indiano), interpretato da Will Samspon (il pellerossa di Poltergeist e Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo), un piccolo ruolo ma anch'esso denso di simbolismi. Inoltre Roeg è molto abile nel far convivere parentesi di forte drammaticità (ad esempio i pianti della Russell e le sue emorragie uterine) con momenti praticamente comici (perlopiù appannaggio dello scienziato). In tal senso la risultante di questa sommatoria è una storia curiosamente farsesca e intrigante.

Trailer ufficiale

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