La Riffa è noto per essere l'esordio davanti alla macchina da presa di Monica Bellucci, fino ad allora apprezzatissima modella. Un anno prima per la verità c'era già stato un passaggio televisivo nella miniserie Vita Coi Figli di Dino Risi, con Giannini e la Cléry. Il merito di portarla sul grande schermo va a l regista Francesco Laudadio, ex dirigente del PCI, poi aiuto regista di Scola, Sordi, Squitieri e Monicelli, e anche produttore. Soggetto e sceneggiatura del film sono sempre di Laudadio, che evidentemente confeziona una storia su misura per la Bellucci, o viceversa, individua la primadonna perfetta per quel copione. Al film serve essenzialmente un corpo, un grande corpo, poiché si narra di una vedova, lasciata nei debiti fino al collo dal marito adulterino e imprenditore avventuroso; la donna deve risolvere la sua drammatica situazione finanziaria in breve tempo, anche per garantire un futuro alla figlia piccola. Dopo il fallimento di tentativi molto sobri e decorosi, come fare la commessa e vendere tutto il vendibile non già ipotecato, la donna decide di indire una vera e propria lotteria che la vedrà come premio finale, quattro anni di amore esclusivo da ricompensare con centinaia di milioni ("aveva perso tutto tranne il suo corpo" recita il manifesto pubblicitario).
Come qualsiasi film, un buon attore/attrice è fondamentale per la riuscita dell'operazione, ovvio, lapalissiano; tuttavia ci sono anche storie che prim'ancora del grande mattatore da palcoscenico hanno bisogno di una fisicità che accenda lo schermo e renda credibile quanto viene mostrato e raccontato. Pensate cosa sarebbero certi film di Woody Allen o Danny DeVito se li avessero interpretati Alain Delon o Brad Pitt, Higlander o Greystoke senza lo sguardo di legno di Christopher Lambert avrebbero certamente sortito ben altro risultato (ed a riprova opposta e contraria giova ricordare che, fuori da quei ruoli su misura, Lambert ha fatto diversi buchi nell'acqua); lo stesso dicasi se al posto di Franca Valeri ci fosse stata una Marisa Allasio o una Sofia Loren ne Il Vedovo con Sordi. Insomma, certe sceneggiature non possono affatto prescindere dai corpo che le attraversano. Quando La Riffa uscì fu la fiera della critica spocchia-snob; una gara circense a sparare sulla Bellucci, definendola incapace e antitetica alla recitazione. Per fortuna la (ex) modella probabilmente più famosa che l'Italia abbia mai avuto si è rifatta con gli interessi, avendo interpretato ad oggi 56 film, anche internazionali, da protagonista come da comprimaria, ma sempre lasciando il segno e contribuendo a far staccare qualche biglietto in più al cinema (motivo per il quale continua ad essere parecchio contesa pur avendo ampiamente passato i cinquanta anni). E sarebbe anche abbastanza miope incattivirsi a lanciarle pomodori addosso per questo film poiché - a parere di chi scrive - la Bellucci offre un prova assolutamente apprezzabile.
Il volto della sua Francesca è quello di una splendida donna, giovane, smaliziata e piuttosto sveglia. Poi naturalmente occorreva un physique du role da urlo e la Bellucci trionfa su tutta la linea. Non si tratta di Elizabeth Taylor o di Monica Vitti ma questo, oltre a non essere richiesto dalla pellicola, non toglie assolutamente alcunché all'apporto della Bellucci nel film, nei termini in cui una modella, attrice esordiente, poteva dare. Detto ciò, La Riffa non è esente da difetti, ci sono alcune debolezze in sceneggiatura a mio parere; la figura del marito e soprattutto il suo lascito umano e sentimentale, oltre che finanziario, è poco sfruttato nella costruzione dei personaggi; l'arrivo improvviso in scena di Giulio Scarpati (personaggio pinocchiesco) convince poco, tra lui e la Bellucci si crea con troppa facilità una chimica che non ha una concreta spiegazione logica. Così come non mi sono piaciute certe sbavature a corollario, tese e a sottolineare quanto la Bellucci sia la gazzella che tutti vogliono cacciare (si veda ad esempio le linguacce lussuriose di Roberto Della Casa amministratore di condominio, roba da commediaccia sexy anni '70). Da un regista ex dirigente comunista mi sarei aspettato ben altre sottolineature riguardanti le opacità della borghesia dell'Italia all'alba dei '90, invece Laudadio quasi sorvola, e perde un'occasione. Al netto di cadute e fragilità, La Riffa non è un film malvagio, anzi nel complesso direi apprezzabile, anche e nonostante Massimo Ghini che fa Massimo Ghini. Intelligentemente Laudadio e Bellucci non risparmiano sulle scene di nudo, pur senza eccedere in volgarità (attenzione che in tv passa un versione sforbiciata di parecchi minuti, per recuperare quella integrale dovete ricorrere al dvd della RHV, mentre quelle Eagle ed Edizioni Master ripropongono il master cut televisivo). Le pruderie sono perlopiù nelle intenzioni (la riffa) e in qualche sottotrama più pepata (alla riffa per aggiudicarsi la Bellucci partecipano anche delle donne), dopodiché il film dosa consapevolmente i momenti di sensualità, affidandosi alla fisicità di una Bellucci generosa che suppergiù sta a La Riffa come La Gioconda sta al Louvre.
Lasciate perdere gli strali persino sadici di certa critica che con la bava alla bocca si è tuffata mani e piedi al linciaggio della protagonista. Non avrebbe avuto molto senso che al suo posto fosse stata scritturata Meryl Streep, ma evidentemente la cosa non appariva di immediata comprensione. Personalmente ho visto attrici "professioniste" assai più quotate dare prove ben peggiori di quelle date dalla Bellucci in carriera, Riffa compresa. A fronte di una regia non particolarmente dinamica, creativa, ricca, la Bellucci tiene anzi viva l'attenzione. Paradossalmente, una buona idea per una trama ed una splendida figlia di Madre Natura diventano gli elementi principali di merito di un film che non è un capolavoro ma neanche un fallimento. Ciò che manca è proprio una regia più incisiva, efficace e di personalità, quella personalità di cui la Bellucci qui dimostra di non mancare affatto. Amen.