
La Ragazza Dalla Pelle Di Luna è il film d'esordio di Zeudi Araya, che infilerà un trittico con Luigi Scattini tra il '72 ed il '74 (che vede pure La Ragazza Fuoristrada e Il Corpo). Fu proprio Scattini a scoprirla e volerla come protagonista nel suo film, dopo che la Araya, giovane miss dell'Eritrea, arrivò in Italia per girare la pubblicità di un caffè. Intuito lungimirante, visto che poi Zeudi diverrà una delle icone del cinema erotico degli anni '70, naturalizzandosi italiana. Scattini racconta che il film nacque a seguito di un suo viaggio ai Tropici, alle isole Seychelles in particolare. All'epoca le isole non erano la meta trendy chic che poi sono diventate, addirittura Scattini ricorda di aver preso uno dei primissimi voli resi disponibili per quella destinazione, inaugurando una rotta fino ad allora sconosciuta. Si era mosso solleticato da racconti che narravano di splendide ragazze del posto, con la pelle del colore della luna. Con molto disincanto Scattini disse di non aver visto traccia di tanta bellezza, e che anzi le donne del posto erano piuttosto bruttine e insignificanti; però quella fascinazione immaginifica gli rimase in testa e ci scrisse un soggetto per un film.
Una coppia di borghesi - Alberto (Ugo Pagliai) ingegnere italiano, ed Helen (Beba Loncar), fotografa di moda inglese - perdono una coincidenza per Hong Kong, e sono costretti a rimanere per 4 giorni alle Seychelles, poiché il volo successivo sarà dopo 96 ore. La Loncar si sarebbe dovuta recare in Oriente per lavoro ma Pagliai, subdolamente, fa in modo di perdere il volo, e la Loncar, suo malgrado, accetta la sosta forzata. L'idea iniziale è sfruttare quei giorni per "ritrovarsi", uscire dalla routine di una vita fatta di lavoro, un figlio, orari ed obblighi forzati, concedendosi un tuffo nella libertà. Col passare delle ore però, lo scenario incontaminato delle Seychelles non fa che acuire e mettere ancora più in crisi un matrimonio che in crisi lo era già. Il detonatore della disgregazione è una ragazza del posto, Simoa (Zeudy Araya), che incarna lo spirito di quella gente e di quei luoghi. Libertà assoluta, incondizionata, senza padroni, né moralismi di alcuna sorta. Simoa flirta tanto con Alberto quanto con Helen, ed Helen a sua volta sente un'attrazione per un pescatore scrittore europeo che da anni vive là (Giacomo Rossi Stuart), sorta di novello Robinson Crusoe appena appena più civilizzato. Al termine dei 4 giorni per i due sposi sarà chiara e conclamata la fine del proprio matrimonio, ma nonostante ciò, oramai schiavi delle regole di una vita borghese occidentale, saliranno sull'aereo che li riporterà a casa, dove probabilmente, con poco coraggio, continueranno per inerzia a vivere una esistenza fatta di ipocrisie e sentimenti atrofizzati.
Concettualmente il film è pieno di spunti interessanti, anche se poi materialmente i 90 minuti di pellicola non risultano così attrattivi e scoppiettanti come dovrebbero. C'è tutta la faccenda della schiavizzante vita borghese, fatta di regole che vanno strette ad un essere umano nato libero da convenzioni e regole sociali. Simoa ne è la personificazione, non appartiene a nessuno, fa l'amore con tutti, ovvero con chi le va, la sua casa è la Natura, non si lega né pretende legami. Fatale che un potenziale simile finisca con l'affascinare i turisti occidentali, tant'è che persino la Loncar quasi cede alle sue lusinghe lesbo (dico quasi, perché poi il gelato lo prende con Giacomo Rossi Stuart in versione surfer dude). Avete sentito trillare qualche campanello familiare? Pure io, e pure Joe D'Amato, che su questa estetica esotico-libertina ci costruisce tutta la serie di Emanuelle con la Gemser. La Ragazza Dalla Pelle Di Luna pare anticipare vistosamente quel filone, mettendo in luce già alcuni topi forti del genere. E ci sono anche un po' di atmosfere da Mondo Movie, vuoi perché in modo esplicito viene mostrata la caccia allo squalo (con conseguente uccisione e sventramento della povera bestia), vuoi perché gli scenari un po' esotici, con annesse pratiche sessuali indigene, hanno spesso fatto da cornice al genere. Il tutto per altro visto con gli occhi stupefatti e virginei della società occidentale, indecisa se considerare certe pratiche ed abitudini un abominio o espressioni della "cultura locale" degne di rispetto e curiosità (magari un pochino morbosa alle volte).
La scena dello sbudellamento degli squali oggi farebbe orrore, immaginarsi un Ugo Pagliai tutto preso dallo spunzonamento di uno squaletto mini a colpi di arpione fa un certo effetto, tanto più che Scattini racconta che girare quelle scene fu una vera agonia. Erano previste inizialmente in notturna, ma non ci fu verso, per via delle condizioni del mare, pertanto si ripiegò su riprese diurne. Gli aspetti vincenti del film, oltre ai bellissimi scenari naturali (come ad esempio l'isola degli uccelli nella quale passeggiano la Araya e Pagliai), sono sicuramente le musiche di Piero Umiliani e le fattezze della Araya che, con buona pace dei gemseriani doc, nella sezione "belle donne esotiche del nostro cinema di genere", asfaltava Emanuelle senza ombra di dubbio. Che poi, a "pelle di luna" la Araya non era messa benissimo, e lo sapeva pure Scattini, il quale però oramai la sceneggiatura ce l'aveva e decise di fregarsene del fatto che l'attrice era eritrea (e nera), lasciando intatto il titolo del film. Di Pagliai invece Scattini si pentì un po', all'epoca l'attore era in ascesa per lo sceneggiato televisivo Il Segno Del Comando, e pare fosse un po' l'idolo delle donne che guardavano la tv, ma poi nel film funzionò relativamente e comunque a Scattini non piacque mai veramente fino in fondo. Arrivarono critiche impietose che poco tollerarono un ruolo così trasgressivo per un attore della Rai.
Quali sono i punti deboli allora? Beh sicuramente molti dialoghi, quarti d'ora di considerazioni pseudo sociologiche che si piangono addosso ma che - stringi stringi - non dicono assolutamente nulla. L'autoanalisi sul proprio matrimonio da parte di Alberto ed Helen è fuffa autoreferenziale, parole su parole che poi non vanno da nessuna parte; la Loncar pare aver preso un paracarro in faccia un attimo prima del ciak, i livelli di inespressività che raggiunge in questo film sono impressionanti. Fissa, inamovibile, sempre con lo stesso sguardo per 90 minuti. E poi c'è un po' di noia, che arriva quando in primo piano non ci sono le Seychelles o Zeudi Araya, diciamo che il ritmo non era esattamente la prerogativa di Scattini in questa pellicola. Però vale la pena guardarla lo stesso (anche se il dvd edito da CG è un mero riversamento di una vhs), perché è un momento importante del cinema di genere italiano e perché contiene tanti spunti sui quali riflettere. Ah si, e poi perché c'è Zeudi Araya. Occhio che esiste pure un film porno con lo stesso identico titolo e che ammicca chiaramente a quello di Scattini.