Prolificissimo regista di genere del nostro cinema bis, Antonio Margheriti firma nel '73, col suo inseparabile nome d'arte Anthony M. Dawson, l'horror La Morte Negli Occhi Del Gatto. Il titolo richiama il micione a nove code di Argento (avviatore della stagione zoofila del giallo thriller nostrano), uscito due anni prima. Nel '77 sarà la volta de Il Gatto Dagli Occhi Di Giada di Bido, e assai più in là arriveranno pure i titoli felini di Luigi Cozzi (Il Gatto Nero, '89) e Fulci (Un Gatto Nel Cervello, '90). Il rimando a Argento esiste puramente nel titolo, poiché il tipo di pellicola nulla ha a che vedere con il "nuovo" giallo di stampo argentiano che si fa largo all'inizio del decennio, quanto piuttosto rimanda ad una impostazione classica anglossassone, vedi le pellicole prodotte dalla Hammer e/o dirette da Roger Corman. Qualcosa che appare immediatamente retrò; se ne rende conto lo stesso Margheriti, il quale dice di aver cercato di svecchiare il testo letterario di Peter Bryan, intitolato "Corringa" (il nome della protagonista, interpretata da Jane Birkin). Mai chiarito se dietro il nome di Bryan si celasse un autore italianissimo di trame gialle da edicola o lo sceneggiatore della Hammer. Quello che è certo invece è che il "musico" dello score è Riz Ortolani, che si cala perfettamente negli scenari anglosassoni, scozzesi per la precisione.
La famiglia MacGrief è preda di dicerie e leggende; se uno di loro muore per mano di un familiare si tramuta in vampiro, un non morto in cerca di vendetta. E se al funerale un gatto si getta sulla bara, questo sta a significare che la salma ivi contenuta è quella di un vampiro. Purtroppo di decessi in seno alla casata se ne verificano e se ne sono verificati in quantità. Lo mette a verbale Corringa, nipotina della padrona di casa Lady Mary (Françoise Christophe), che vede assassinati uno dopo l'altro la propria madre, due servitori, un medico (amante di Lady Mary, ma anche di Suzanne, una prostituta che frequenta il castello spacciandosi per istitutrice di James, figlio mentalmente instabile di Lady Mary, e immancabilmente anche Suzanne troverà la morte). - SPOILER: l'indiziato numero uno è proprio James (Hiram Keller), pazzerello e turbolento; ben presto Corringa scoprirà che il ragazzo è vittima di pregiudizi (è accusato di aver ucciso la sorella), e anzi se ne innamorerà. I suoi sospetti cadranno allora su Lady Mary, ambigua e macchinosa, ma il vero colpevole si rivelerà essere Padre Robertson, cappellano di famiglia, o meglio, un impostore che ne ha assunto l'identità dopo averlo ucciso. Il finto Robertson (Venantino Venantini) è in realtà un MacGrath emigrato in America e tornato per ereditare i beni di famiglia, sfruttando le credenze diaboliche che ne circondano il nome. Per fortuna, al climax del racconto, l'ispettore di Polizia (Serge Gainsbourg, doppiato da Oreste Lionello, in un curioso corto circuito con Woody Allen) fredderà con un colpo di rivoltella l'assassino, prima che questi si abbatta contro Corringa.
Innanzitutto devo dire che la visione del film è stata pesantissimamente viziata ed alterata dal pessimo dvd Dagored, una vera e propria truffa. Qualsiasi prezzo lo paghiate è comunque troppo. Resistere davanti allo schermo per 95 minuti (che poi sono meno, perché oltrettutto è pure sforbiciato) è una sfida, un atto d'amore per il film, Margheriti e per il cinema di genere in sé, che talvolta richiede queste prove di disciplina per i pessimi prodotti messi a disposizione dal mercato homevideo. In effetti in giro c'è di meglio, lo stesso titolo è uscito per Surf e X Rated, ma io questo avevo e questo mi sono dovuto - ahimé - sciroppare. Che sia un film gradevole, per fortuna, traspare comunque, ma certo una buona fetta del piacere e del divertimento viene letteralmente scippata dall'edizione inqualificabile della Dagored. La pellicola è fuori tempo già al tempo, ma conserva un suo fascino vetusto, che Margheriti tenta di contaminare con vari elementi. Intanto non si tratta di un horror puro ma si innestano elementi tipicamente gialli (e pure argentiani), come l'omicida che avanza in soggettiva, coi guanti neri e il rasoio scintillante ben in vista. Poi c'è il gattone rosso fuffoso (certo uno nero avrebbe contribuito maggiormente all'atmosfera generale), sempre presenta agli sgozzamenti (anzi, pare quasi li compia lui coi suoi unghielli), per dare quel tocco di esoterico che metta sulla cattiva strada lo spettatore. La Suzane di Doris Kunstmann è l'accento erotico della pellicola, si concede ad Anton Diffring ma non disdegna la compagnia femminile, tanto che in una scena nella quale la Birkin si spoglia con fare un po' civettuolo, Suzanne si morde la lingua e pregusta la prelibatezza proibita (anche perché poi forse la stessa Corringa è effettivamente "aperta" sull'argomento). Poi ancora c'è il gorillone di Keller, che fa tanto Delitti Della Rue Morgue, pure quello un diversivo, una specie di falsa pista che a un certo punto parte e tenta di fuorviare lo spettatore. Insomma, di carne al fuoco ce n'è, tant'è che la trama è abbastanza complessa e ricca di situazioni e disvelamenti. La fotografia - mi si dice - sarebbe di derivazione baviana, e io ci posso pure credere (lo confermano gli stralci del film presenti su Youtube), peccato che la Dagored abbia fatto di tutto per farmi detestare il lavoro del povero Carlo Carlini, al quale Margheriti aveva affidato le immagini.