
Nello stesso anno di Spogliando Valeria e Casa Di Piacere, Bruno Gaburro si prende una pausa dal genere erotico e dirige La Morte È Di Moda, un thriller, o giallo all'italiana - se volete - fuori tempo massimo, che sembra far sin troppo il verso a Sotto Il Vestito Niente di Vanzina (1989), per altro già inseguito dal sequel diretto da Dario Piana nel 1988. Il mondo della Moda è annunciato sin dal titolo quindi non ci sono equivoci ed infatti il film si apre con i titoli di testa che scorrono sul corpo delle modelle che si truccano e si acconciano per un servizio fotografico. Una volta finito, Gloria (Teresa Leopardi) torna a casa ma un'avaria dell'auto la costringe a far tappa nei pressi di una lussuosa villa presso la quale la ragazza intende chiedere aiuto. Appena entrata assisterà all'omicidio di una donna da parte di una figura maschile, che lei vede solo di spalle mentre nella villa infuria una musica ad altissimo volume. Gloria si risveglia in ospedale, dove viene interrogata dalla polizia, ma il suo racconto non trova riscontri poiché non ci sono cadaveri né assassini e per giunta la villa risulta serrata ed abbandonata da anni. Tuttavia la descrizione degli interni resa da Gloria corrisponde al millimetro. Da quel momento in poi il film si orienta su un doppio binario, da una parte la modella viene ritenuta una mezza pazza e affidata per questo alle cure dello psicoterapeuta Contini (Miles O'Keeffe), dall'altra è perseguitata da uno stalker che tenta di ucciderla ma del quale anche in questo caso lei è sempre l'unica testimone, senza che chi le sta attorno riesca mai ad avere effettiva contezza.
- SPOILER: Contini attraverso l'ipnosi praticata su Gloria si rende conto della stessa verità alla quale giunge il commissario Rizzo (Anthony Franciosa) mediante le sue indagini, in quella villa molti anni addietro si è consumato un delitto da parte dello stilista Sebastiano Arcari (Giuseppe Pambieri) ai danni della propria musa e modella che gli rubò e vendette tutte le creazioni artistiche; Gloria, sensitiva a sua insaputa, ha rivissuto quel dramma pur senza testimoniarlo direttamente. Arcari viene assicurato alle patrie galere, tutto è bene quel che finisce bene.
Gaburro dirige un film decisamente scadente sotto molti punti di vista, se non tutti. La sceneggiatura è raffazzonata, i dialoghi sono brutti e puerili, la recitazione del cast è modesta, in alcuni casi davvero pessima, ma credo se ne possa fare una colpa relativa agli attori perché ruoli, situazioni e battute dei personaggi non avrebbero aiutato nemmeno Orson Welles e Marlene Dietrich. Franciosa, unico nome di un certo peso in cartellone, non si salva infatti dal malessere generale. Torna poco e niente in questa storia; il rutilante mondo della Moda è fatto di modelle qualunque e decisamente poco avvenenti (ad eccezione della Leopardi, la cui recitazione però è veramente scadente), di vestiti sciatti, di maisons che sono uffici da assicuratori o normali appartamenti. Il fotografo delle dive ovviamente è biondo, gay e indossa camicie vistose, lo stilista è rude, aspro e arcigno. Lo stereotipo regna sovrano. Il punto più basso probabilmente lo si raggiunge con la coppia O'Keeffe/Cavalli, lui è una specie di Ridge dei poveri, con mascellona prorompente e sguardo sempre tenebroso, di mestiere fa lo psicologo che compie "miracoli" (così lo definisce la Cavalli), ma in realtà pare più che altro un ipnotizzatore di serpenti con i super poteri, perché al suo solo sguardo chiunque obbedisce soggiogato senza appello; lei è la sua fidanzata, nonché medico che ha in cura la Leopardi, che si accolla come caso personale. Un medico decisamente sui generis, anche perché con quei capelli biondissimi ed appariscenti, le minigonne sotto il camicie ed il trucco sempre urlato, pare più fotomodella lei che le altre selezionate da Gaburro. Il commissario di Franciosa è una specie di tenente Colombo che gioca a metà tra il serio ed il faceto, e tutta la sua sottotrama col pesce che deve pescare dovrebbe fungere da contraltare ironico, invece rende il personaggio ancora più tonto. La risoluzione dell'enigma poi è alquanto pacchiana.
Non c'è solo l'ambito dei fashion thriller ad insistere su La Morte È Di Moda (ricordo anche il curioso Pathos - Segreta Inquietudine, di Piccio Raffanini del 1987), va tenuto conto innanzitutto dell'eredità di Dario Argento, omaggiato in più maniere. L'intreccio tra passato e presente nonché l'espediente della stanza segreta echeggiano Profondo Rosso, così come le soggettive dello sguardo dell'assassino, i guanti di pelle e la lama del coltello ripercorrono l'armamentario doc del mondo criminale argentiano. Per non parlare dello stesso Franciosa, utilizzato da Argento in Tenebre. C'è spazio persino per una citazione di Shining, quando la Leopardi si rifugia in bagno mentre l'assassino sfonda la porta con la lama di un coltello. Nonostante tutti questi numi tutelari però La Morte È Di Moda rimane un brutto film, girato con pochi mezzi ed ancora meno idee. Per essere un prodotto del 1989 è davvero acciaccato, gli si sarebbe potuta perdonare qualche faciloneria se avesse avuto magari 10 anni di meno, ma a quel punto Gaburro era già piuttosto avanti in carriera e sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di più solido, ancorché girato nelle consuete ristrettezze economiche del cinema bis.