
La Moglie di Mio Padre (di. A. Bianchi, 1976) è un drammone erotico, pochino erotico, con un bel cast però, Adolfo Celi, Carroll Baker, Jenny Tamburi, Femi Benussi, Luigi Pistilli, Gabriella Giorgelli, Cesare Barro. La trama: l'industriale Adolfo Celi è sposato in seconde nozze con la fascinosa Carroll Baker. Dopo 7 anni di matrimonio le cose funzionano stancamente. Addirittura c'è qualche problemino in camera da letto, a Celi non gli tira più. Studia che ti ristudia la situesciòn, Celi si imbarca in frizzanti relazioni meramente sessuali con giovanissime pischelle e lo zum zum lì riprende come un treno. Al contempo, fa tornare a casa suo figlio (Cesare Barro), universitario all'estero, per vedere di metterlo temporaneamente alla guida della fabbrichetta e fargli fare da damo di compagnia alla moglie sempre più sola e sconsolata, mentre Celi se la spassa per presunti viaggi di lavoro con studentesse danesi. Figlio e matrigna però diventano sempre più affiatati, finché succede il fattaccio, anzi, più di uno.... La Baker allora prende consapevolezza di sé e lascia la casa andando a vivere con una amica ultrafemminista (la Tamburi), mentre Barro torna ai suoi studi. Celi, cornuto e mazziato, non prende la cosa benissimo....
Celi naturalmente fa il mattatore, per lui un ruolo così è come legarsi i lacci delle scarpe la mattina, lo fa ad occhi chiusi. Per altro in questo film vede e palpa diverso materiale umano, dalla moglie (una sempre piacente Baker, sulla quarantina, nonostante l'orrenda cofana che il parrucchiere del set le riserva in ogni scena) alle varie ragazzette che si trastulla, in scene anche abbastanza esplicite. La Tamburi c'è per modo di dire, visto che ha poche battute (e tutte vestite). Carroll Baker è un po' la Lisa Gastoni del caso, pure un po' Dagmar Lassander volendo. E dire che le prova tutte col marito prima di arrendersi. Lui le dà la colpa di ogni cosa, pure della calma piatta nel boudoir (ma si può, con la Baker ignuda nel letto, dico io...). La Baker allora va addirittura da una mignotta (la Giorgetti) e le chiede consiglio su come dare smalto al rapporto. Risultato? Scena dopo, la Baker è riversa sul pube di Adolfo Celi, ma niente, manco quello funziona .... (ossignur!) Nel finale, dopo essersi addirittura mostrato ben disposto ad una sorta di imbarazzante ménage à trois con moglie e figlio, Celi va a riprendersi sua moglie da Jenny Tamburi (le due sono in vacanza insieme in montagna) e, una volta lì, vediamo scorrere immagini di donne che amoreggiano - tecnicamente un fermo immagine di un primo piano di Celi pensieroso e, sullo sfondo, sfregamenti di corpi femminili - presumibilmente la "femminista" (... e quindi lesbica) Tamburi e la Baker la quale, evidentemente delusa, prova pure il salto della quaglia. Non è dato di sapere se si tratti di realtà o di delirio visionario di Celi, oramai in pieno esaurimento nervoso. E questo è il bello, perché da qui poi matura il vero finale, che naturalmente vi vedrete sullo schermo della vostra tv.
Menzione per Femi Benussi, tutta nera e con gli occhioni blu, moglie borghese disinibita che circuisce il figlio di Celi e canta le lodi dell'adulterio coniugale (potenziale rimando a La Seduzione di Di Leo). Divertenti poi i siparietti di Celi e del suo amico psicanalista Luigi Pistilli (marito cornuto della Benussi), che "professionalmente" gli consiglia di andare a prostitute per far riprendere ispirazione al suo inguine depresso dalla solita routine con la moglie. Salvo poi provarci lui stesso con la Baker ("so tutto di tuo marito, io potrei soddisfarti molto meglio"....alla faccia della deontologia professionale), rimediando il sacrosanto due di picche. Insomma, abbiamo il non originalissimo quadro dei valori borghesi e familiari in piena decadenza negli anni '70 dell'Italietta democristiana. E a dirla tutta a noi quel quadretto piace assai perché ha fornito lo spunto per dell'ottimo cinema di genere.