Ma che....davvero davvero La Grande Bellezza vi è piaciuto così tanto? Veramente è questo capolavoro totale, definitivo, incondizionato? Fellini, gli Oscar, ostriche e champagne....tra un po' Sorrentino lo fanno Presidente della Repubblica. Si contano sulle dita di una mano (monca) i detrattori del regista, praticamente un novello Leonardo Da Vinci; io ho visto solo Le Conseguenze Dell'Amore (che mi è molto piaciuto) ed Il Divo (che mi è piaciuto moderatamente), quindi non sono un esperto sorrentiniano doc, tuttavia sono assai colpito da questa orgia (conformista) di consensi che ha eletto Sorrentino a novello Kubrick dei nostri tempi. Facciamo un po' di premesse, che già sento le punte dei forconi lambirmi il sedere; tecnicamente Sorrentino conosce molto bene il mezzo, non gli si può certo dare dello sprovveduto, ha gusto per le immagini (talvolta meno per le sceneggiature) e non va a cercarsi soggetti facili o banali (come spesso capita al cinema italiano contemporaneo). Questo non traduce automaticamente in oro tutto ciò che tocca però. I continui e reiterati virtuosismi della macchina da presa ne La Grande Bellezza stancano dopo pochissimo; un'estenuante fluidità delle riprese, è sempre tutto in movimento, viene quasi il mal di mare. I primi 10 minuti sono (purtroppo) paradigmatici del resto del film (che per altro dura 2 ore e 20), niente condito col nulla, ma fotografato benissimo e rimpinzato di musiche ammiccanti.
Si, mi è chiaro che il proposito di Sorrentino era proprio realizzare flaubertianamente un film sul niente, ritrarre la fuffa della mondanità romana, l'inconsistenza dei suoi personaggi, la vacuità delle loro vite, l'imperturbabilità dei loro (dis)valori, l'ironia della loro involontaria ridicolezza. In questo senso dunque Sorrentino pare aver raggiunto il suo obbiettivo, e criticarlo per questo allora sarebbe da ingenerosi, oltre che indice di non aver afferrato il senso precipuo del film. E però mi torna poco questa confutazione; il film è noioso, ma soprattutto scientifico nel suo non dire niente. Se io piazzo una macchina da presa davanti ad un capannone industriale fatiscente e lo riprendo per 2 ore, dopodiché proietto in sala il mio lavoro, e alle critiche di inconsistenza replico dicendo che beh, volevo proprio dimostrare in che stato di arida decrepitezza versasse la nostra civiltà industriale, probabilmente avrei reso plasticamente l'idea, ma quelle 2 ore risulterebbero comunque inappellabilmente noiose. Questo è il punto, mi è perfettamente chiaro "cosa" Sorrentino mirasse a mettere in scena; che ci riesca è indubbio, che io mi sia annoiato a morte durante la visione è altrettanto indubbio, oltre pure ad una irritazione crescente causata da quella sfiancante, snervante, pedante ripetizione ossessiva di feste, gente che balla, cartoline romane e personaggi macchietta. Servillo fa il guitto autocompiaciuto, il cicisbeo sornione, in poche parole, il gigione; d'accordo, lo richiedeva il ruolo, ma in una scala da 1 a 100 Servillo eleva all'ennesima potenza, e il troppo stroppia.
Due momenti forti il film li ha, quando Servillo demolisce la borghesotta piena di vanagloria che si crede un'eroina della società civile e delle battaglie politico-culturali, e quando, sempre Servillo, racconta nostalgicamente alla Ferilli la sua "prima volta"; ecco, in queste brevi parentesi, arriva qualcosa, c'è della polpa, della sostanza, oltre alla sfibrante forma che in questo film è drammaticamente tutto. Decine gli attori che si fanno bastare due pose pur di "esserci"; mette tristezza quella parata di volti noti del cinema italiano (Verdone, Isabella Ferrari, Lillo, Iaia Forte, Pamela Villoresi, Giorgio Pasotti, addirittura Fanny Ardant) che diventa idealmente la perfetta incarnazione proprio di quel circo mondano di nullità e fancazzismo che Sorrentino intende ritrarre (e forse stigmatizzare....dico forse), quelli a cui importa farsi vedere più che esistere realmente. Personaggi inutili, pretestuosi e minimali vengono impilati uno sull'altro, il figlio schizzato della Villoresi, Ivan Franek che espone i suoi autoscatti, la Santa dei poveri, la bambina che dipinge in preda alle crisi isteriche, il vicino di casa di Servillo, il mago della giraffa (un animale di grandi dimensioni ci voleva per evocare Fellini), lo zoppo con le chiavi dei palazzi nobili, Venditti.....Venditti!!? (Ah già....Roma). Detesto la Ferilli, ma le va dato atto che in una tale entropia quei 10 minuti complessivi in cui lei è sullo schermo danno un minimo di dignità al film (anche se la sua scomparsa dalla storia ha dell'incredibile, liquidata in 0.2 secondi netti). Verdone sta sprofondando sempre di più nella parodia di se stesso, la povera Serena Grandi è trattata come un freak del circo (a proposito, naturalmente non poteva mancare la nana....).
Francamente ho delle grosse perplessità nel comprendere cosa ci sia di così grandioso in questo film. Un affresco di personaggi caricaturali che intende....riderne? Celebrarli? Ritrarli senza giudicarli? Un po' come ne Il Divo, pure ne La Grande Bellezza non sono riuscito a cogliere l'intenzione ultima di Sorrentino, la vera e profonda spinta artistico-creativa che lo ha portato a costruire il film (sempre che ce ne sia una). Rimane la sensazione di un bellissimo album di fotografie che però sono fini a loro stesse, un esercizio di stile autocompiaciuto. E mi chiedo anche cosa possa averne tratto uno spettatore straniero (tanto da candidare il film all'Oscar); quella piacioneria è tutta italiana, e temo che all'estero un lavoro come questo avvalorerà sempre di più lo stereotipo che anche un nume tutelare come Fellini ha contribuito ad appicicarci addosso con La Dolce Vita, Roma, 8 e 1/2, etc..