Nel 1955 Tennessee Williams compone l'omonima opera teatrale ed appena tre anni dopo Richard Brooks ne cura la riduzione cinematografica. Williams era un drammaturgo molto corteggiato dal cinema, egli stesso firmerà sei sceneggiature per il grande schermo tra il '56 e l'80. La Gatta Sul Tetto Che Scotta fu un film che però lo deluse molto poiché a suo dire guastò "la purezza" della sua creazione, il che fuor di metafora si tradusse nell'estrema edulcorazione (per non dire nell'espunzione tout court) del tema dell'omosessualità che invece era presente nel testo ed era una chiave narrativa affatto secondaria. La cosa appare chiara poiché vedendo il film invece c'è qualcosa di assolutamente non chiaro, sospeso, fumoso. Si fa fatica a capire l'intestardimento di Brick (Paul Newman) riguardo alla morte (per suicidio) del compagno di squadra, nonché amico fraterno, Skipper. C'è qualcosa in controluce che non si riesce a mettere a fuoco, i cui contorni sono troppo sfumati e illeggibili. Il flirt di sua moglie Maggie (Elizabeth Taylor) con Skipper pare non avere abbastanza sostanza, Brick è stravolto dalla perdita dell'amico, dal non esserci stato per lui nel momento del bisogno, dal rimorso di averlo abbandonato, e questo pesa sulla sua coscienza assai più dell'eventuale tradimento, che per altro non è mai delineato nella sua concretezza, tant'è che lo spettatore non comprende se sia stato realmente consumato oppure no. Pare che Maggie all'ultimo sia sia sottratta e Skipper rifiutato (tanto da Maggie quanto da Brick), abbia spento il proprio dolore gettandosi dalla finestra. Quello snodo si dipana solo quando la variabile dell'omosessualità (più o meno consapevole) di Brick entra in gioco, gettando di colpo una luce definitiva e chiarificatrice su quel rapporto a tre.
Ecco perché Brick si arrovella tanto, ecco perché Skipper non ha saputo combattere il suo dolore, ecco perché Maggie è divorata dall'impossibilità di avere l'amore di suo marito, di cui è perdutamente innamorata e dal quale non riesce a separarsi in nessun caso, neppure se l'uomo è diventato un alcolista, neppure se lui la detesta ritenendola l'origine di ogni colpa, neppure se il trattamento che le riserva è carico di odio e risentimento (che trasferisce da sé stesso alla moglie). Ecco che le insinuazioni del fratello Gooper (Jack Carson) e soprattutto di sua moglie Mae Flynn (Madeleine Sherwood) sull'amore sterile di Brick e Maggie diventano infinitamente più pregnanti e cariche di livree velenosissime. Big Momma (Judith Andreson) ha scelto di non vedere ed ha condotto la sua intera esistenza di angelo del focolare senza vedere la pochezza di Gooper, la diversità di Brick e l'egoismo del marito Harvey (Burl Ives), un uomo che le ha comprato tutto con i suoi soldi ma non le ha dato un goccio d'amore, poiché esclusivamente concentrato su se stesso e sulla propria affermazione sociale e professionale. Il ritratto della grande e facoltosa famiglia del sud che Williams (e Brooks) fanno è terrificante, un mostro dalle tante teste, ognuna delle quali completamente abbandonata in una lotta in solitaria contro il proprio destino. Non c'è solidarietà, generosità, umanità, ma esclusivamente isolamento ed esclusione. Un microcosmo arido e violento, nel quale vige il tutti a scapito di tutti. In questo contesto si inserisce Maggie, la "gatta" che cerca di rimanere il più a lungo possibile sul tetto che scotta, senza saltare giù, come invece le consiglia cinicamente Brick. Maggie non molla la presa, si aggrappa con le unghie ed i denti al suo amore, un amore tormentato, calpestato, umiliato, ma impossibile da reprimere. Nulla può estinguere la resilienza di Maggie, che combatte sempre, incessantemente, in ogni scena, con ogni arma a sua disposizione. Non smette mai di sedurre Brick, con il reggicalze, lo specchio, la sottoveste, un abbraccio, l'offerta di un massaggio corroborante; Maggie ruggisce contro le minacce di Gooper e Mae Flynn, e tiene testa a Brick che scalcia come un puledro indomabile. Solo dopo infinite battaglie Maggie vedrà riconoscersi un "coraggio disperato", nella più bella frase del film, quando Brick finalmente la difende pubblicamente attribuendole la "verità del coraggio", quel coraggio disperato che Maggie ha da vendere. L'incendio sentimentale verrà infine ammansito, i cocci si ricomporranno, in un epilogo forse sin troppo consolatorio (soprattutto pensando a quello ideato da Williams, praticamente opposto), ma ugualmente commovente.
Paul Newman e Liz Taylor sono due giganti, due autentiche divinità greche per bellezza, bravura ed intensità. Il film era stato progettato in bianco e nero m si optò poi per il colore per permettere agli occhi dei due attori (unici in tutto il panorama hollywoodiano) di spiccare e colpire al cuore gli spettatori. Non è da meno il gran patriarca Burl Ives, che aveva rivestito lo stesso identico ruolo a teatro, espressamente voluto da Tennessee Williams. Davvero pazzesco il concentrato di rabbia, frustrazione e passione che questo trio di attori esprime in scena, assolutamente coinvolgente e destabilizzante. La forza dei dialoghi, carichi di vita ed esistenza, esplode letteralmente nelle loro bocche e nei loro sguardi, investendo il pubblico e facendolo sentire presente in quella casa, come fossimo ospiti di famiglia e testimoni del dramma che si sta consumando. Sei nomination all'Oscar senza neppure una statuetta (del resto il peccato originale di derivare da un'opera riguardante l'omosessualità doveva pur essere scontato). Lo stesso Paul Newman si disse molto deluso dai cambiamenti che fu necessario apportare in sceneggiatura, con il codice Hays che pendeva come una spada di Damocle sulla Produzione, visto che il desiderio di scombussolare la borghesia benpensante e moralista era anche suo. L'ipocrisia (che Brick ha continuamente in bocca) è il convitato di pietra degli eventi, una società intrisa di ipocrisia, vezzo dal quale neppure lo stesso Brick sa emanciparsi, non arrivando a confidare neppure a se stesso cosa veramente provi. Nella lunga lista di amori inespressi e insoddisfatti c'è anche quello che caratterizza il rapporto padre figlio di Harvey e Brick, che sapranno ritrovarsi solo in punto di morte di Harvey. In Italia l'opera teatrale venne rappresentata con Gino Cervi nei panni di Big Daddy, Gabriele Ferzetti in quelli di Brick e Lea Padovani per Maggie. Gli adattamenti cinematografici invece in totale furono tre. Meravigliosa la colonna sonora firmata da Charles Wolcott.