
La Dama Rossa Uccide Sette Volte è un film di Emilio P. Miraglia che appena un anno prima aveva girato La Notte Che Evelyn Uscì Dalla Tomba, e vedremo che sia Evelyn che l'uscita dalla tomba non sono elementi a caso nemmeno in questo film. E infatti la storia narra di due sorelle, Ketty ed Evelyn, vittime di una leggenda/maledizione che grava sul loro casato, quella della Dama Rossa, sorella della Dama Nera. Le due sorelle si rincorrono da secoli; la prima fu uccisa dall'altra, la seconda, allo scadere di ogni secolo, torna a manifestarsi, mietendo 7 vittime, l'ultima delle quali è la sorella Nera. E di secolo in secolo una coppia di sorelle diventa l'incarnazione di questa rappresentazione teatrale soprannaturale. Al tempo del film, è la volta di Barbara Bouchet (Dama Nera) che involontariamente ha ucciso durante un litigio l'amata/odiata sorella (Dama Rossa). L'omicidio viene occultato, ma diversi anni dopo, allo scoccare del mitico centenario, pare che Evelyn, la sorella morta, torni dall'aldilà per compiere la profezia, mietendo vittime a più non posso. Ketty (Bouchet) è convinta di essere la settima designata.
L'intreccio è piuttosto arrovellato, farraginoso e labirintico (si veda la pagina di Wikipedia al riguardo, solitamente piuttiosto snella e sbrigativa nel descrivere le trame). Nonostante questo, il film, d'ambientazione tedesca, è gradevolissimo e si segue con sommo gaudio e divertimento, ma senza prestar troppa attenzione ai nessi logici, alle concordanze di fatti ed accadimenti, e alla linearità degli eventi, visto che, giunti al climax, la risoluzione finale, per quanto plausibile, risulta davvero ingarbugliata, appesantendo leggermente il film. Notevoli comunque le atmosfere, appese a metà strada tra il gotico retrò e il "nuovismo" (di allora) argentiano - vedasi ad esempio le soggettive dell'omicida, o l'estrema varietà delle tecniche di assassinio - in quel delirio di fantastico sovrannaturale e realismo da serial killer che diventa un ibrido abbastanza interessante in mano a Miraglia. Molto buona la resa degli attori, dalla Bouchet alla Malfatti, passando per Ugo Pagliai, la Giancaro e la Danning. Unica nota stonata, il baffutissimo ispettore di polizia Tetesca di Cermania, Mariano Masè, al quale mancano gli spaghetti e il mandolino per essere lo stereotipo dell'italiano totocutugnesco, alla faccia della fisionomia teutone! Alcune singole scene sono veramente di gran classe, evocative, degne di una rassegna sul cinema italiano degli anni '70 (su tutte, la corsa nella deserta azienda Springe della Dama Rossa - in realtà un sogno della Bouchet - o anche l'allagamento delle segrete del castello dei Wildenbrück). Eccellente anche la colonna sonora di Bruno Nicolai. C'è qualche nudo, ma poca roba, anche se si respira un certo clima erotico morboso. Da segnalare in particolare la mise della Bouchet appena prima della scena (censuratissima) del suo stupro....palpitazioni! Online ho letto che "le belle scene discinte sono fuori luogo, poiché ammiccano allo spettatore poggiando sull'abusata dicotomia Eros/Thanatos tipica dei film horror italiani", ecco, firmo e sottoscrivo alla lettera, solo che questa stessa affermazione per me va letta alla rovescia, ovvero come un peculiare e caratteristico punto di forza e di riconoscibilità del cosiddetto giallo/horror italiano degli anni '70. Un film tutto fatto di atmosfere, magistrali, sulle quali regna la sinistra risata pazzoide della Dama Rossa.