La Bestia Uccide A Sangue Freddo

La Bestia Uccide A Sangue Freddo
La Bestia Uccide A Sangue Freddo

Il buon Fernando Di Leo era persona intelligente e sagace, conosceva perfettamente le proprie qualità ed i propri limiti e, a quanto traspare da interviste e resoconti, di tutto lo si poteva accusare tranne che di avere una certa prosopopea o superbia. La Bestia Uccide A Sangue Freddo arriva dopo I Ragazzi Del Massacro (bellissimo) e prima di Milano Calibro 9 (capolavoro) eppure, oltre ad essere lontanissimo da quelli per genere di collocazione ed atmosfere, è di polarità opposta anche e soprattutto per quanto riguarda la qualità della pellicola. Di Leo, molto schiettamente, era il primo ad ammetterlo (basta vedere l'intervista acclusa come featurette al film nell'edizione RaroVideo), ricordando come il film fosse un lavoro prettamente su commissione, realizzato in appena 12 giorni, nella dichiarata intenzione di inseguire Dario Argento sul suo terreno. Il buon Dario nazionale insomma andava scopiazzato il più possibile per portare gente al cinema e realizzare buoni incassi. Cosa di meglio di sesso e violenza, possibilmente gratuiti entrambi, ovvero con meno contenuti possibili, così da lasciara alla gente tutto il divertimento senza la necessità di spremersi troppo le meningi? Di Leo insomma definisce il suo film una marchetta, ma anche un brutto film, cialtrone e pieno di disattenzioni, più o meno volute (ma di certo sempre consapevoli), come ad esempio quella di riempire una casa di cura - un manicomio si sarebbe detto allora - di armi medievali come asce, stiletti, spadoni e balestre, che non a caso vengono usate dal maniaco omicida di turno per sterminare le sue vittime nel ricovero. Come è possibile immaginare una residenza sanitaria con armi libere e disponibili per chiunque, medici e pazienti (per di più insani di mente)? Di Leo dice che sapeva benissimo che si trattava di una sciocchezza ma, quasi a sfidare il buon senso dello spettatore, aveva premuto il piede sull'acceleratore appositamente, anche perché il film certo non doveva caratterizzarsi per il suo severo rigore formale.

Tutto accada in una notte o quasi, un fumettistico serial killer, incappucciato e mantellato, dalle movenze scomposte e demenziali, si aggira per i corridoi della villa massacrando un'infermiera, l'autista e tre pazienti. Solo allora il direttore della clinica, il Prof. Osterman (John Karlsen), ed il suo braccio destro, il dottor Francis Klay (Klaus Kinski), decidono di prendere provvedimenti, chiamando la Polizia, la quale accorre al manicomio e predispone un raffinatissimo piano d'azione, esporre un'esca alla furia omicida del killer per stanarlo e catturarlo. Viene scelta Cheryl Humer (Margaret Lee), una paziente guarita e prossima alle dimissioni dall'Istituto. Cheryl viene puntualmente inseguita dal maniaco che viene finalmente smascherato. - SPOILER: si tratta del marito di Cheryl, il quale aveva architettato il diabolico piano di far credere all'esistenza di un pazzo assassino solo per mimetizzare la morte della moglie (una facoltosa industriale) tra tutte le altre. Durante la fuga, prima di essere accoppato dalla Polizia, l'uomo lascia di sé altri cadaveri a colpi di mazza ferrata.

Il film è davvero tutto fermo ed inchiodato ai due archetipi su menzionati, sangue e sesso. Le morti sono particolarmente efferate e violente (qualcuna anche ridicola), e tra l'una e l'altra Di Leo si sofferma su momenti di lungo e ripetuto erotismo che riguardano le vittime, prima di diventare tali. Margaret Lee si contorce voluttuosamente nottetempo nel suo letto, completamente nuda e a favore di telecamera; Rosalba Neri (cartella clinica: ninfomane) amoreggia continuamente con chi le capita a tiro e, in mancanza di materia prima, pratica l'autoerotismo; Jane Garret (agorafobica) flirta per tutto il film con la sua infermiera personale Monica Strebel, fino a consumare il frutto di tanta passione reciproca. In qualche caso la parentesi erotica tracima esplicitamente nell'hard (ad esempio nei momenti di masturbazione della Neri e della Strebel, oltre a moltissimi dettagli ginecologici degni di Tinto Brass); Di Leo dice trattarsi di inserti prodotti all'estero poiché lui non si era spinto così tanto in là. Notevole però l'opera di raccordo tra fotogrammi eterogenei alla pellicola e quelli originali, una delle rarissime volte nelle quali l'integrazione è fatta con criterio logico e tecnico. Detto ciò, questa opera di "arricchimento culturale" finisce con appesantire notevolmente la visione poiché, non essendoci sostanzialmente molto altro lungo l'arco dei 92, si finisce col trascorrere lunghissime parentesi ad osservare corpi ed epidermide. D'accordo, senz'altro un bel panorama, ma se il proposito era  vedere un (bel) film di Di Leo o comunque un thriller horror appetitoso, non si viene esattamente travolti dall'entusiasmo. Di Leo è autore di ben altro profilo e lignaggio, e qui del suo cinema c'è ben poco. Una certa cura formale della messa in scena, gli psichedelici titoli di testa, un finale convulso e spettacolare (amato anche dal regista), ma tutto ciò che sta nel mezzo è mera contemplazione estatica di attrici molto sexy e poco più. Gradevoli le musiche di Spadaccino, kitsch e bizzarro il maniaco incappucciato che si aggira per il manicomio brandendo addirittura un'ascia (per non parlare di quando mena fendenti su letti vuoti o contro l'aria, come preso da un delirio pazzoide... che però poco si giustifica poi in relazione alla vera identità e al movente dell'assassino), certo il tutto ha un sapore stracult, persino divertente a tratti, ma riesce difficile catalogare La Bestia tra i migliori lavori del regista pugliese.

Kinski è del tutto fuori parte e svogliato (eppure pare che partecipò chiedendo un compenso minimo). Al suo posto ci sarebbe potuto essere chiunque altro; vive unicamente della sua maschera grottesca che porta immediatamente lo spettatore ad associarlo con gli omicidi, e anche Di Leo naturalmente lavora in quella direzione. Osterman, l'ispettore di Polizia ed il suo scagnozzo sono personaggi di una stupidità sconcertante (e di conseguenza vanno i loro dialoghi). La fine piomba abrupto, chiudendo un film pacchiano e squinternato. Ci sono poi degli estenuanti sogni nei quali le vittime ripercorrono la loro vita, ingerenere prima di venire ammazzate (anche se non sempre). Lo stratagemma allunga il brodino (ma lo spettatore ha l'impressione di vedere due volte lo stesso film), e forse si spiega solo con l'intenzione di incentivare l'idea l'idea del killer come figura irreale ed onirica (tanto è estrema), che dunque collima con i sogni delle vittime, in una sorta di zona limitare tra realtà e fantasia (anche se poi gi omicidi sono iper reali). In Francia il titolo del film venne cambiato in La Clinique Sanglante (La Clinica Snaguinosa), mentre fu L'Ultimo Treno Della Notte di Aldo Lado a vedersi assegnare il nome di La Bestia Uccide A Sangue Freddo. Di Leo aveva inizialmente pensato a La Lunga Valle Dell'Assassino, ma il titolo passò a quello attuale per avere un riferimento animale nel titolo, sempre in ottica Argento. "Ovvietà e banalità spinte fino al cretinismo che ho riscattato con un ritmo tale da non permettere allo spettatore di riflettere su quale bufala stesse vedendo", un proposito in parte vanificato dagli insert sexy che rallentano ulteriormente il film, facendo purtroppo rendere conto lo spettatore di quale "bufala", ancorché estrosa, stesse vedendo.

Trailer ufficiale

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