"....Ogni mio capello bianco si chiama Kinski" (Werner Herzog).
Herzog e Kinski si conoscono sin da quando Herzog, spiantato autore wannabe, condivide a Monaco delle stanze in una pensione con altri 7 coinquilini, tra i quali Klaus Kinski. Molti dei suoi ricordi risalgono già ad allora, sfuriate di rabbia incontrollabile, momenti di grande autoesaltazione, megalomania, paranoia, furia (auto)distruttiva, una fisicità prorompente (girava nudo per casa su un tappeto di foglie marce), e quasi sempre minacciosa. Dice che una volta Kinski si chiuse in bagno per 48 ore, 48 ininterrotte ore, durante le quali sbraitò, inveì e distrusse i sanitari, riducendo la stanza da bagno in un cumulo di macerie. Poi intervenne la Polizia.
Così comincia Kinski, Il Mio Nemico Più Caro, documentario del 1999 che il regista dedica al suo compagno di (dis)avventure, scomparso nel '91. I due hanno lavorato assieme per 5 film, Aguirre Il Furore Di Dio ('72), Nosferatu ('78); Woyzeck ('78), Fitzcarraldo ('82) e Cobra Verde ('87); il loro rapporto è stato l'esemplificazione dell'amore/odio, un'amicizia all'arma bianca, un desiderio frustrato e irrisolvibile di battaglia e riappacificazione continui, che però ha lasciato un grande vuoto in Herzog alla morte di Kinski. In questo senso la definizione di "suo miglior nemico" è molto brillante. Sin dal primo film Herzog sapeva benissimo che gatta avrebbe dovuto pelare e, nonostante ciò, è ritornato sul luogo del delitto per ben 5 volte. Aguirre fu un battesimo devastante, girato con pochissimi mezzi in Perù; esattamente come per Fitzcarraldo, la troupe tecnica ed il cast artistico qui hanno dovuto subire tutto ciò che gli stessi protagonisti della storia subiscono, le fatiche fisiche, lo stress, il clima, i morsi degli animali, le privazioni, il dolore fisico, gli sforzi sovraumani (si pensi al battello issato su per la collina in Fitzcarraldo); l'identificazione tra finzione e realtà è alla base della riuscita del film. Herzog sembra quasi credere che senza vivere in prima persona le emozioni dei suoi personaggi, il film non potrà mai riuscire ad arrivare al pubblico come qualcosa di vero e coinvolgente.
In mezzo a una simile weltanschauung, già di per sé estrema, arrivava il ciclone Kinski, con i suoi deliri di onnipotenza, i suoi capricci, la sua arroganza, la sua totale mancanza di misura. Gli aneddoti sui suoi litigi con chiunque, letteralmente chiunque, si sprecano nel documentario. Riusciva a saltarti al collo perché il caffè che gli veniva servito sul set (in piena giungla) era troppo tiepido o perché il colletto della camicia non era stirato come lui pretendeva. Esigeva l'assoluto protagonismo (il suo ovviamente), anche a scapito della sceneggiatura e del senso della storia. Minacciava e veniva minacciato. E' noto l'episodio nel quale Herzog lo avrebbe minacciato di morte; secondo Kinski, Herzog si sarebbe avvicinato con un fucile in mano, intimandogli di non osare abbandonare il set (come invece Kinski paventava). Herzog in realtà precisa di aver detto a Kinski di possedere un fucile con 8 colpi, 7 dei quali li avrebbe piantati nel corpo dell'attore e l'ultimo lo avrebbe riservato per se stesso, al termine delle sfiancanti riprese culminate con la solita bizza isterica di Kinski. Durante Fiztcarraldo gli indios che partecipavano al film si offrirono addirittura di uccidere Kinski, e Herzog scherzosamente - ma non troppo - si è detto pentito di non aver acconsentito.
Tuttavia, pur emergendo un sincero ed appassionato ritratto di un pazzo furioso ed intrattabile, non si può non rimanere affascinati dalla diversità di Kinski, dal suo titanismo maledetto, dal suo essere fuori dagli schemi convenzionali, dalla convivenza del genio e della malvagità dentro i suoi occhi allucinati, sempre fuori dalle orbite. Kinski attore aveva un sesto senso incredibile, che lo portava ad essere un interprete difficile da gestire ma generosissimo al contempo; intuitivo e sadico, poetico e violento. All'epoca di Aguirre, Kinski girava la Germania portando in scena la sua rilettura della vita di Gesù, onere per il quale veniva regolarmente deriso e offeso (e per tutta risposta lui si metteva ad offendere e minacciare di percosse il pubblico dal palco). Herzog dice che si presentò sul set atteggiandosi a vero Gesù Cristo e ci volle del tempo perché perdesse quella immedesimazione blasfema. Al termine delle riprese di Cobra Verde, dopo 5 film assieme e 15 anni di rapporto faticosissimo, Herzog non volle più lavorare con Kinski, oramai saturo delle loro infinite discussioni "artistiche". Kinski terminò il suo Paganini e poi morì (attacco di cuore), consumato da un'esistenza vissuta troppo intensamente. Pare che avesse chiesto ad Herzog di dirigerlo, ma il regista si rifiutò, ritenendolo un soggetto irrealizzabile, ed il tempo in effetti gli ha dato ragione. Nella sua autobiografia (perlopiù farlocca), Kinski dedica moltissimo spazio a Herzog, demolendolo impietosamente. Il regista racconta che quelle parti furono addirittura concepite insieme. Secondo Kinski il libro non avrebbe mai venduto se avesse raccontato un rapporto pacifico tra i due (cose che in effetti non era), e dunque calcò parecchio la mano a scopi scandalistici per attrarre l'attenzione dei Media e dei lettori. Due attrici ricordano in modo esclusivamente positivo Kinski, Claudia Cardinale (sua compagna in Fitzcarraldo) e Eva Mattes (Woyzeck), e forse non è un caso che si tratti di due donne.
Herzog racconta a cuore aperto un uomo che ha amato e odiato, senza trasformare il suo documentario in un santino agiografico, mettendo in evidenza anzi tutto il peggio possibile che si poteva attribuire a Kinski, ma nella più completa e totale lealtà e passione affettiva. Come si è fatto giustamente notare, Kinski, nel suo imperterrito antieroismo, nel suo opporsi instancabilmente alla visione artistica di Herzog, è stato uno dei principali artefici della statura cinematografica di Herzog stesso, poiché lo ha costretto senza tregua a mettersi in discussione, a confrontarsi con una dialettica opposta e contraria, ne ha quindi scolpito limiti e potenzialità, lasciando emergere tutta la grandezza e la debolezza del regista.