
Dopo la estenuante maratona tolkeniana, alla quale mi sono sottratto esausto ed annoiato già al secondo episodio, avevo evitato come la peste i 187 minuti del King Kong di Peter Jackson (2005), ennesima rilettura del re scimmione, prevalentemente del primo Kong degli anni '30, più che di quello di De Laurentis con Jessica Lange. A distanza di anni, e sbollita la sbornia d'entusiasmo collettivo per Frodo e compagni, ho sentito riaffiorare la curiosità per questa pellicola. Jackson è un regista da amore/odio e io non lo amo particolarmente.
Budget stratosferici, effetti speciali "rhapsodiani" che contendono agli attori il primato sulla scena, cast fatto di divi e superstar (grandissimo Jack Black, ottima Naomi Watts, da orticaria Adrien Brody), ore ed ore di pellicola, come se fosse impossibile avere uno straccio di film entro i 90 minuti (ma quando si è "autori" la logorrea è d'obbligo). Con Jackson la verosimiglianza va sistematicamente a farsi friggere. Hai creduto ad elfi, nani e nazgul? Figuriamoci se non ti puoi ingoiare pure le trovate borderline di King Kong; come diavolo lo trasportano sulla nave una volta steso a colpi di arpione e cloroformio? Come può un laghetto ghiacciato di città sopportare un bestione di mila e mila tonnellate? Perché un muro alto 30 metri lo ha tenuto relegato su Skull Island da sempre e lui, improvvisamente, con un pugnetto lo sfonda manco fosse burro? Come può un taxi degli anni '20 sfrecciare in strada manco fosse Raikkonen, per di più in retromarcia?.
Megalomania a profusione, nella quale si fondono in un massiccio gioco citazionistico Jurassic Park, Cuore Di Tenebra, La Bella E La Bestia, Indiana Jones, tribalismo cinematografico a vario titolo e quant'altro. Un film mastodontico di nome e di fatto, roboante in ogni fotogramma, ultraeffettato, parossistico, megalitico; vero, ci sono dei momenti esaltanti, o comunque divertenti e piacevoli, anche se sboroni, come la corsa "Gran Prix" dei dinosauri. I primi 30 minuti circa, con Jack Black in cerca di produttori - ossia la parte pseudo bohémien e "vera" del film - non sono male. Mentre gli indigeni sull'isola sono eccessivamente stereotipati ed il loro ritualismo isterico da posseduti è molto fumettistico (e pesantemente segnato da scorie de Il Signore degli Anelli). Da quando Kong approda in America il film diventa noioso, prevedibile e troppo succube del sentimentalismo. Peccato, un'occasione sprecata.