
Tutti si ricordano del King Kong del 1976 come il film prodotto da Dino De Laurentiis ed interpretato da Jessica Lange, ma difficilmente salta fuori il nome di John Guillermin alla regia. Tristemente la pellicola è diventata "quella di De Laurentiis"; questo è dovuto certamente allo sforzo produttivo faraonico del business man italoamericano ma anche, a ben vedere, ad una regia un po' anonima da parte di Guillermin, che tuttavia non era affatto uno sprovveduto. Appena un anno prima aveva diretto L'Inferno Di Cristallo, forse il film più emblematico del genere catastrofico assieme agli Airport (e non che negli anni '50 e '60 non avesse diretto molte altre pellicole). Probabilmente proprio per il suo feeling col filone delle catastrofi, De Laurentiis si convinse ad assumerlo, volendo restituire una nuova versione del classico del 1933 in una chiave più moderna e à la page (il che in quegli anni significava "catastrofico"). King Kong fu candidato agli Oscar per gli effetti speciali di Carlo Rambaldi (statuetta vinta), per la fotografia ed il sonoro, Jessica Lange si aggiudicò il Golden Globe come miglior attrice esordiente. La Lange debutta proprio con De Laurentiis, tre anni prima di King Kong faceva la cameriera a New York; aiutata da una fisicità molto hollywoodiana la Lange ha un personaggio totalmente demenziale. La sua Dwan è davvero imbarazzante, non per la recitazione della Lange ma per come è scritta in sceneggiatura. Una bimba in un corpo di donna (sensuale), bionda e scioccherella, sulla falsariga di Marilyn Monroe ma decisamente più insulsa. Il dialogo con Jeff Bridges subito dopo essere stata salvata è qualcosa di ridicolo e la situazione non migliora con il prosieguo del film. Le frasi messe in bocca alla Lange sono sempre drammaticamente sceme. Si aggiunga a questo che De Laurentiis (pardon... Guillermin) sottolinea abbondantemente il portato erotico di Dwan nella storia. Le movenze della Lange sono spesso e volentieri gratuitamente ammiccanti, ha continue manchevolezze che assomigliano più a piccoli orgasmi che a degli svenimenti per affaticamento o sopraggiunta emozione. Persino quando King Kong le soffia addosso (con un alito che immagino saprà di Durbans) per asciugarla dopo averla gettata in acqua, la Lange pare nel pieno di un amplesso. Francamente una sottolineatura talmente plateale e marcata che trasforma Dwan in una macchietta al cui confronto Jessica Rabbit pare Virginia Woolf.
Più in generale comunque la psicologia dei personaggi è povera e bidimensionale. Si potrebbe fare un discorso simile per il capo spedizione Fred Wilson (Charles Grodin), totalmente ottuso, così come Jake Prescott (Jeff Bridges) è un eroe cavalleresco ideale e puro (e col ciuffo). A distanza di oltre 40 anni gli effetti speciali accusano un po' il colpo, tuttavia rimangono impressionanti per sforzo tecnico (ed economico), contestualizzandoli nel proprio periodo storico. Lo scimmione ha tracce di patetismo che lo avvicinano ai personaggi umani in carne ed ossa quanto a "semplificazione" psicologica. La parte prima parte ambientata sulla nave, quando ancora l'ignoto è tale e l'equipaggio viene soggiogato dai racconti di Bridges è forse uno dei momenti migliori, così come l'incontro con la tribù aborigena (dalla pelle così scura da sembrare figlia del continente nero, invece siamo da qualche parte vicino all'Indonesia). Il ritorno in America, tra bande musicali, majorette e nastri colorati è il trionfo del kitsch all'americana; il finale del film si avvia verso la classica scalata del grattacielo (in questo caso le torri del World Trade Center) con tutto il corredo enfatico e spettacolare dell'abbattimento del colosso alto 20 metri. Un attimo prima, dopo essere fuggito dal circo organizzato dall'avido Wilson, Kong esplora la città alla ricerca di Dwan, proprio mentre lei e Jack si sono fermati a bere qualcosa ad un bar, nonostante la creatura più incredibile dal Cretaceo ad oggi li stesse inseguendo. Il film offre molte di queste ingenuità, totalmente votate alla spettacolarità fine a se stessa, come se il pubblico fosse talmente di bocca buona da farsi andare bene tutto pur di vedere la Lange (la bella) e Kong (la bestia) all'opera. Peter Cullen si occupò di riprodurre i versi animaleschi di Kong e lo fece con tale dedizione da arrivare a sputare sangue in cabina di doppiaggio, tuttavia il suo nome neanche figura nei credits del film, che ingratitudine.
Per il ruolo poi andato alla Lange furono vagliate Meryl Streep (ma scartata perché troppo poco attraente per De Laurentiis) e Barbara Streisand (la quale rifiutò). La regia venne invece offerta a Polanski, il quale saggiamente si guardò bene dal rimanere impelagato in un'operazione simile. Dopo il buon successo in sala (meno di critica), la NBC pagò 19,5 milioni di dollari per mandare in onda due volte l'anno il film in esclusiva, mai fino ad allora un film era stato pagato così tanto per la distribuzione televisiva. La versione televisiva venne arricchita da 45 minuti di ulteriore materiale, ma impoverita di tutti quei momenti che avrebbero potuto compromettere un passaggio televisivo il più ampio possibile (quindi riferimenti sessuali e violenza). La scena ritratta nella locandina in realtà avviene di notte nel film.