Esistono due cospirazioni che fanno capo a Dallas, 22 novembre 1963: la prima riguarda l'uccisione dell'allora Presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, perfettamente riuscita; la seconda l'insabbiatura della verità riguardante la prima, parzialmente riuscita. Ma si trattò effettivamente di cospirazioni? Secondo Oliver Stone ed il suo JFK - Un Caso Ancora Aperto si, senza ombra di dubbio. A distanza di 23 anni dal film (a sua volta lontano 28 anni dai fatti di Dallas), il lavoro di Stone risulta ancora attuale, disarmante e decisamente inquietante. Non si sono fatti grossi passi in avanti da allora, l'assassinio di Kennedy rimane "un mistero avvolto in un enigma dentro un altro enigma" (per citare una battuta di Joe Pesci nel film). In compenso le teorie dietrologiche sono fiorite come funghi coinvolgendo nell'ordine: la Mafia, la CIA, L'FBI, l'apparato militare USA, il vice Presidente poi Presidente Lyndon Johnson, i cubani anti castristi, i petrolieri del Texas. Mancano gli uomini grigi di Aldebaran ma presto ci arriveremo. Quel che è certo è che Kennedy stava sulle scatole a parecchi; una sua fuoriuscita dal mondo della politica (e da quello dei viventi) avrebbe fatto comodo a molti, ergo, quanto accaduto era nell'ordine naturale delle cose, purtroppo.
Ho visto la versione director's cut in bluray, lunga 17 minuti in più rispetto a quella cinematografica, per un totale di 204 minuti, in più si sono aggiunti altri 90 minuti di documentario appositamente realizzato per il film riguardante sia i fatti di Dallas sia le reazioni suscitate dal film sul pubblico americano. Fanno un totale di quasi 5 ore di full immersion kennediana (...farò avere a breve alla Mondadori un mio saggio socio-critico sulla materia). L'inizio di JFK è affidato a parti esclusivamente documentaristiche, con voci dei protagonisti (dell'epoca) fuori campo ed immagini di repertorio; immediatamente si avverte un tono piuttosto contratto e sincopato nel rappresentare gli eventi. Alternare fiction a sezioni documentaristiche rimarrà la cifra del film, che naturalmente si serve abbondantemente di pezzi di vita vera per creare la propria narrazione, rigorosamente a tema - quello di Oliver Stone - ovvero la teoria del complotto ordito dallo stesso Governo ai danni del popolo americano, intrecciato a doppia e tripla mano con tutta una serie di attori di contorno, che sono grossomodo quelli elencati pocanzi, affaristi, mafiosi, servizi segreti, militari e attivisti politici di destra, spesso sovrapponibili tra loro. Al lato "veristico" della mise en scene si contrappone una scelta della fotografia piuttosto patinata, declinata in un uso delle luci morbidissimo e carezzevole, forse proprio a creare il contrasto con la la crudezza della realtà. Il virtuosismo delle luci prosegue nei flashback, che mettono in atto giochi luminosi e bagliori accecanti. Stone decide di non mostrare l'omicidio di Kennedy, o meglio, lo mostrerà attraverso il filmato di Zapruder ma solo a circa mezzora dalla fine del film, durante la parte processuale; non ricorre insomma ad uno shock facile ed immediato per scuotere lo spettatore, ma lo coinvolge poco a poco nelle fittissime ed inestricabili trame politiche che hanno portato al fatto che ha sconvolto il mondo.
Per un non americano, dunque non necessariamente consapevole di tutta la nomenclatura allora esistente e coinvolta, il film può senz'altro risultare ostico, difficile, vengono continuamente snocciolati nomi, fatti e luoghi, circostanze su circostanze che rendono arduo seguire il castello di congetture di Jim Garrison (Kevin Costner), il coraggioso procuratore distrettuale della Louisiana che si intestardisce a riaprire il caso tre anni dopo la morte del Presidente. Tuttavia la stessa realtà di accadimenti e coincidenze risulta assai intricata, difficile sbrogliarla per lo spettatore. Il film prosegue in un crescendo emotivo che segue le indagini di Garrison, alfine costretto a rendere pubblica la sua ricerca della verità (incalzato dai Media, a loro volta sobillati dai sospettati, vendicativi nei confronti di Garrison). Con l'incriminazione dell'affarista omosessuale Clay Shaw (Tommy Lee Jones) avviene il salto di qualità che porterà Garrison in tribunale davanti al Grand Jury. La cospirazione immaginata da Garrison verrà delineata per filo e per segno, e attraverso di essa Stone si rivolge al pubblico americano mettendo i puntini sulle "i" e schierandosi apertamente in merito alle vicende accadute nel novembre del '63. L'arringa di Garrison/Kostner pecca di gran retorica, la disamina puntuale dei fatti (mostruosa la teoria della cosiddetta "pallottola magica" che procura sette ferite a diverse vittime, senza per altro minimamente venire scalfita da ossa e tessuti che attraversa) viene mischiata a considerazioni alla "se non ora quando" che spuntano le frecce all'arco del procuratore e del film stesso. Stone si fa un po' prendere la mano insomma e si occupa di massimi sistemi e giustizia nel mondo che, per carità, sono principi sacri, ma allontanano dalla concretezza dei fatti tanto lo spettatore quanto la giuria che deve pronunciare il verdetto. Tant'è che in poco più di un'ora e mezzo di camera di consiglio i giurati dichiarano non colpevole Shaw, pur nella convinzione che una cospirazione vi sia effettivamente stata. Ma non esiste alcuna certezza, oltre ogni ragionevole dubbio, che Shaw vi sia stato coinvolto.
JFK è il film che inizia la trilogia dedicata da Stone ai Presidenti USA, proseguita poi con Nixon e Bush junior; potentissimo nonostante le sue 3 ore e 20 minuti di durata si segue con partecipazioni civile ed interesse. Che le cose siano andate come le raccontano il vero Garrison (morto poi nel '91) e Oliver Stone (che basa la sua sceneggiatura sugli scritti dello stesso Garrison e di Jim Mars) non è dato sapere, ma è certo che i presunti colpevoli avevano solo che da guadagnare da quell'omicidio, ed è altrettanto evidente che a caldo le indagini eseguite dal Governo furono blande e sciatte, che la commissione Warren non approfondì quanto avrebbe dovuto e che le autorità ostacolarono in ogni modo Garrison nelle sue ricerche. Risulta del tutto non credibile che Lee Oswald potesse aver agito da solo, la dinamica dei fatti è inoppugnabile, comunque la si pensi. "Chi" e "perché" rimangono domande insolute, anche se, che Oswald sia stato al limite solo un complice, se non addirittura un capro espiatorio, pare oramai lapalissiano. Svolta nodale della pellicola è l'incontro (mai avvenuto nella realtà, perlomeno non in quei termini) di Garrison con Mister X (Donald Sutherland) un informatore ex militare che apre molti orizzonti al procuratore e lo motiva ad andare fino in fondo. L'apporto del cast al film è fondamentale, Stone lo riempie di nomi importanti, da Joe Pesci a Kevin Bacon, da Walter Matthau a Jack Lemmon, da Sissy Spacek a Gary Oldman, da Edward Asner a Tommy Lee Jones, da John Candy ai cameo di Tomas Milian e dello stesso Stone; chi con piccoli ruoli (ma sempre efficaci), chi da protagonista, fatto sta che Stone sembra dire: eccomi, non sono da solo in questa crociata. Il parallelo tra Garrison e Stone è quasi inevitabile, il regista sembra identificarvisi, circondato anche lui dal suo team di fidati devoti. Costner inizialmente non volle accettare il ruolo, per il quale erano stati previsti anche Harrison Ford e Mel Gibson, ma poi su pressioni del proprio agente si convinse. Così come James Woods rifiutò la parte poi andata a Joe Pesci perché voleva quella di Jim Garrison.
Stone ebbe la stampa contro all'uscita del film; anzi, ancor prima, durante la lavorazione, alcuni organi di informazione come il Newsweek, il Washington Post o il Chicago Tribune combatterono tenacemente la pellicola, tenendo una vera e propria agenda "disfattista" sul film e preparando il terreno per un attacco delegittimatorio del lavoro di Stone. Accusato di sensazionalismo, faciloneria e menzogne, Stone dovette combattere contro gli stessi Media che lui accusava di aver depistato il popolo americano per decenni. Occhio per occhio insomma. Stone venne in parte ricompensato dall'enorme successo di pubblico e da due Oscar, che però sembrarono quasi una beffa, trattandosi di montaggio e fotografia; oltre che dall'apertura di una nuova commissione d'inchiesta che riesaminò il caso (evidentemente senza sconvolgenti rovesciamenti dei fatti acquisiti). Per merito della commissione, tutti i restanti documenti secretati sull'assassinio di Kennedy saranno resi di pubblico dominio nel 2017 anziché nel 2029. "Con questo film non intendo affatto dire: ...guardate qui, le cose sono andate esattamente così come descritte. Mi sono, invece, soltanto limitato ad ipotizzare una ricostruzione dei fatti come avrebbe fatto un buon detective, tutto qui."