Una delle produzioni più ragionate, vagheggiate, auspicate, discusse, progettate del cinema hollywoodiano, l'ennesimo capitolo di Indiana Jones, prima che Harrison Ford fosse biologicamente impossibilitato a congedarsi dal suo iconico personaggio, al quale recentemente persino Alberto Angela ha pagato pegno ringraziandolo in un sentito omaggio televisivo, come padre ispiratore di tutti gli archeologi (con uno spiccato senso dell'avventura). Niente e nessuno potrà mai cancellare la magia di Indiana Jones dalla storia del cinema e dell'immaginazione di tanti sognatori, giovani e meno giovani, ma devo dire che dopo i primi tre capitoli, le ultime due prove, rispettivamente Il Regno Dei Teschi Di Cristallo e Il Quadrante Del Destino, si sono abbastanza impegnate per abbassare le quotazioni di Indy. Davvero non è andata meglio con quest'ultimo film, benché James Mangold e soci si siano impegnati al massimo per dare una patina di affettuosa nostalgia a tutta l'operazione. Indy vecchio e solo, sulla metro come un vecchietto qualsiasi, ignorato da studenti annoiati anziché vezzeggiato da studentesse innamorate come ai bei tempi, rende bene l'idea del tramonto di un'epoca. Il Professor Jones è fuori tempo, un dinosauro, e però ad Hollywood nessuno ha pensato lo stesso riguardo ad un quinto capitolo del franchise, nemmeno davanti all'evidente incartapecorimento di Harrison Ford. Lo hanno ringiovanito digitalmente, mentre guardi il film lo vedi cinquantenne, poi ottantenne, poi di nuovo cinquantenne poi di nuovo ottantenne, una faccia a fisarmonica che più che stupire per i progressi della CG lascia interdetti e inquieti. A parer mio quello non è cinema, è fake cinema, è la rottura di un patto di sincerità ed autenticità con lo spettatore.
Due ore e venti di fotogrammi che si susseguono ad un ritmo estenuante, eppure a tratti mi sono persino annoiato. Non c'è un reale motivo per il quale la storia debba durare così tanto, è più un (presunto) vezzo d'autore. In compenso è capitato che durante la visione mi sia un po' irritato, già perché va bene l'avventura e la sospensione dell'incredulità ma anche alla verosimiglianza, benché si tratti di Indiana Jones, c'è un limite. E vedere delle lambrette (tecnicamente dei tuk tuk) che sfrecciano per le strade di Tangeri come avessero un motore Porsche montato sopra è davvero ridicolo. Idem tutta la parte del prologo nazista, con tutta quella serie di eventi action a catena degni di un cartone animato o di una comica slapstick, che culminano in una scena di colluttazione sul tetto di un treno lanciato a velocità parossistica, mentre tutti vi passeggiano sopra, saltano e danzano sopra come nulla fosse. Diciamo che la parentesi storica con tanto di varchi temporali è forse il momento meno incredibile, meno sfidante verso le minime e basilari regole della fisica (e della credibilità). Mentre guardavo l'infinito inseguimento a Tangeri ho avuta la netta sensazione di un transfert, accade lo stesso in Jurassic World, in 007, in Mission Impossibile, ad un certo punto arrivano le montagne russe in una qualche cittadina della vecchia Europa o dell'Africa, e questi americani cialtroni fanno il circo vorticoso in una piantina urbana che a loro suona tanto pittoresca rispetto agli spazi americani. Guardate come Mangold ha ridotto la Sicilia, una cartolina talmente stereotipata da rasentare il razzismo.
In questo quinto e (spero) conclusivo capitolo gli elementi classici dei copioni di Indiana Jones ci sono tutti, ma l'insieme non funziona, è stanco, prevedibile, finto, grottesco, non c'è la verità dei primi film. Un budget faraonico per un film che di fatto non ti prende mai veramente. Ed anche quel senso di nostalgia e di commiato assomigliano assai più a mestizia che a malinconia. Steven Spielberg non ha voluto dirigere il film e a mio parere si sarebbe dovuto tenere questo indizio in debita considerazione; Spielberg si era già pentito in precedenza del suo apporto alla causa di Indiana, ha quasi rinnegato Il Tempio Maledetto perché troppo cupo (è il mio episodio preferito), e non ha un ottimo ricordo de I Teschi di Cristallo, oggettivamente modesto. Non ha voluto legare il suo nome alla regia di questo finale, benché ne sia produttore. In molti si sono addirittura commossi nel salutare Indiana con Il Quadrante Del Destino, a me è piaciuta molto la scena con Karen Allen - quella si, strappa un filo di commozione - è un po' come vedere Ford con Sean Young in Blade Runner 2049 (o Mark Hamill con Carrie Fisher negli Star Wars dei 2000). Singoli momenti del film ti sanno prendere ma sono stati più la sofferenza ed il disagio durante lungo quei 140 minuti che l'entusiasmo. Ora buon riposo Indy, goditi la pensione.