Il Sindacalista è un film con un marcia in più, ti chiedi come mai, da cosa derivi questa "propulsione", nonostante Landone Buzzanca di per sé sia un carburante imbattibile; presto detto, si tratta di Luciano Salce alla regia. Ecco che una commedia che poteva prestarsi a derive facilone, sbrigative se non addirittura pecorecce, si trasforma in una sottile ed ironica satira sociale, pur poggiata su un impianto da film comico nelle corde di Buzzanca. L'attore palermitano si cuce addosso il consueto ruolo di emigrato siculo al nord, in cerca di lavoro, nei durissimi anni '70. E il lavoro lo trova, nella "fabbrichetta" dell'industriale Tamperletti, un Renzo Montagnani insolitamente meneghino. Tra i due sono scintille, Buzzanca porta avanti rivendicazioni sindacali sempre più pressanti (ed in totale autonomia, svincolato da qualsiasi organizzazione sindacale), Montagnani cerca di resistere come può alla lotta operaia, fino alla carognata di fingere di amicarsi Buzzanca per servirsene a proprio tornaconto (ovvero far decadere le quotazioni della ditta, mandandola in malora a colpi di concessioni sindacali, quindi acquisirne la maggioranza azionaria al ribasso, e conseguentemente vendere ai tedeschi, fregandosene dei lavoratori coinvolti). Buzzanca, da leader sindacale, amato e idolatrato dai suoi compagni, si ritrova ad essere sospettato addirittura di sindacalismo "giallo", ovvero spalla a spalla col padrone, e in un finale altamente drammatico, viene addirittura picchiato a sangue da chi prima lo venerava. Una svolta che non ti aspetti, e che Salce imprime consapevolmente al film, cancellando qualsiasi verve comica e lasciando lo spettatore imbrattato di sangue e con le costole rotte. Intendiamoci, Il Sindacalista fa ridere, in certi momenti fa molto ridere (assolutamente culto la scena di Buzzanca che porta il figlio capellone in chiesa ad assistere alla messa), ma fa strappa anche qualche riflessione su quel mondo, quell'epoca, alcune mentalità.
Buzzanca, si sa, per me è un mostro di recitazione, e anche un ruolo più complesso e sfaccettato del solito come questo, lo regge come fosse un bicchier d'acqua. Sua moglie è una irriconoscibile Isabella Biagini, anche lei privata come Montagnani del suo dialetto tipico (il romanesco) per ammantarla di panni siculi (e la Biagini era un fior fior di attrice e caratteristica, al pari di Monica Vitti). Montagnani, costretto a fare il cumenda in Maserati e pellicciotto, sta un po' stretto nel ruolo, ma da gran professionista conferisce al suo Tamperletti tutta la profondità necessaria, anche se si avverte che non è nelle sue corde. C'è poi Paola Pitagora che fa la giornalista "di sinistra" (sua l'unica scena di sesso con Buzzanca, con tanto di nudo e tette - poche - al vento), Dominique Boschero super sexy operaia ruspante, Gianfranco Barra che fa poco più che un cameo (il carabiniere) e Ada Pometti.
Credo e immagino che il sindacalismo italiano di quegli anni non abbia affatto visto di buon grado il film di Salce, che non le manda a dire a CGIL e CISL, sebbene lo stesso Buzzanca sia una figura dipinta con ambiguità, divisa tra autentica vocazione altruista e ambizione autoreferenziale (col perenne pallino di Giuseppe Di Vittorio, visto come un Messia miracoloso). Per quanto i vari I Compagni di Monicelli e La Classe Operaia Va In Paradiso di Petri siano film decisamente più impegnati e seri, pure Il Sindacalista si ricava la sua nicchia all'interno del filone "terzo stato che avanza", e proprio attraverso la sua arguta ed intelligente vena ironica, tipicamente salciana, permette una lettura disincantata dell'Italia di quegli anni e del clima socio-politico che la attraversava.