E' passato un po' in sordina questo film di Salvatores o sbaglio? Se così fosse peccato perché è un ottimo film di Salvatores, tratto dall'omonimo racconto di Arthur Schnitzler del 1918. Perché dico che Il Ritorno Di Casanova è un bel lavoro? Innanzitutto perché mi ha fatto venir voglia di leggere il libro che lo ha ispirato, e questo è un merito di Salvatores. Inoltre va considerato che la pellicola è sostanzialmente divisa in due poiché narra la vicenda del regista Leo Bernardi (Toni Servillo) che ha terminato di girare la sua nuova opera, e che la sta montando grazie all'aiuto del fido montatore Gianni (Natalino Balasso); questo consente allo spettatore di vedere il film nel film, ovvero il Casanova girato da Bernardi contemporaneamente a quello girato da Salvatores. Un gioco semantico e metacinematografico che fa venire una gran voglia di vedere entrambi i film. Ho desiderato che Salvatores avesse diretto tanto la storia di Bernardi quanto quella di Casanova (Fabrizio Bentivoglio), i due racconti procedono su binari paralleli che spesso e volentieri si intrecciano e si sovrappongono dandosi significato reciprocamente, ed il bello è che stanno perfettamente in piedi entrambi. Morirei dalla voglia di vedere l'adattamento di Salvatores del racconto di Schnitlzer, intendo puramente quella storia, senza l'intersezione contemporanea di Bernardi e delle sue paturnie, sarebbe altrettanto entusiasmante e appagante. Il che significa che il regista campano di nascita, ma meneghino di adozione, ha svolto un lavoro egregio e oltremodo affascinante. Bernardi è un carattere indolente, invidioso, abulico, tendente alla depressione, all'inedia ed all'autocommiserazione; Servillo interpreta un po' il suo personaggio ideale, scostante, scorbutico, antipatico, severo ed arcigno anche se emotivamente fragile e minato da mille tormenti. Bernardi teme la vita reale e si rifugia nel cinema, ma anche lì è insidiato da un regista emergente che gli fa le scarpe. E' attratto da una giovane donna, esattamente come Casanova e sente la differenza d'età come un problema, ma anche come uno stimolo vitalistico. Casanova da parte sua affoga nella malinconia, è svuotato, non ha più molto da chiedere alla vita e questa sua arrendevolezza lo rende fortissimo perché non ha nulla da perdere e affronta tutto senza timori né indugi.
Splendida la regia di Salvatores che alterna il bianco e nero per Bernardi al colore di Casanova, grazie al sapiente montaggio di Julien Panzarasa. Triste e affranta la prima vita, idealizzata e ancora poderosa la seconda. Bentivoglio è un eccellente Casanova "senile" (sia detto con il massimo rispetto) e ad esempio la scena al lume di candela nella magione aristocratica del suo vecchio amico Olivo (Alessandro Besentini del duo Ale e Franz) è degna di rivaleggiare con i fotogrammi del Barry Lyndon di Kubrick. La sottigliezza di quei personaggi, le sfumature, la delicata affettazione, il tumulto emotivo sempre trattenuto rendono ricca e barocca la rappresentazione, tutto funzionale alla estrema lucidità di Casanova, che osserva tutto, esamina e metabolizza. Quasi invidia chi muore perché sa che ha appena messo fine a tutte le proprie (inutili) sofferenze terrene, è tutto vano, effimero, aleatorio, la vita si consuma e non lascia alcunché nel palmo della mano. Al contempo Bernardi, puntellato dall'amico Gianni e dal produttore del film (Antonio Catania) viene spinto ad abbracciare la vita, a ricominciare a vivere, e l'alfa e l'omega di tutto per lui si incarna in Silvia (Sara Serraiocco), che è in gravidanza. Ancora la vita che picchia sulle spalle di Bernardi. L'atmosfera del film di Salvatores è impagabile, di grandissima eleganza, garbo e misura vanno in profondità senza mai strafare, urlare, smanacciare... ogni riferimento a Muccino è puramente voluto e affatto casuale. Ma potremmo tirare in ballo l'eterna disputa di Sorrentino con Fellini, un confronto cocciutamente cercato da Sorrentino che Salvatores bypassa con stile, rendendo la sua semplicità maestosamente potente. E quando Casanova torna a Venezia (una Venezia ideale che lui porta nel cuore ma che oramai gli regala solo sonni neri senza sogni), mi è baluginato davanti agli occhi Kinski che da vampiro si affaccia tra le calli veneziane (in Nosferatu a Venezia di Caminito), in un gioco di specchi che per Salvatores forse apparirà un po' sacrilego ma che ci sta tutto tra le pieghe del grottesco che i suoi film spesso portano in dote. E' una splendida maturità artistica quella di Salvatores e mi auguro vivamente che continui a regalarci titoli di questo livello. Peccato per la brutta locandina del film, si poteva far meglio.