Paul Verhoeven, l'eclettico, sperimenta con i generi esplorando forme di cinema ed atmosfere anche profondamente diverse tra loro. Nei '70 passa abilmente dalla commedia al dramma, alla guerra, all'ambiente sportivo, al fantasy, spesso e volentieri non lesinando sull'erotismo e su tematiche sempre trasgressive, provocatorie, dirompenti, indubbiamente forti. Non a caso le accuse che vengono mosse al regista olandese sono un po' sempre le stesse, in primis la misoginia, ma anche un rapporto estremamente conflittuale con la religione, un uso piuttosto agevole della volenza e della sopraffazione psicologica, ed un ricorso altrettanto aggressivo alla sessualità, etero ed omo. Il Quarto Uomo è la quintessenza di quel cinema, anche se arriva relativamente presto nella sua filmografia; un film urticante e visionario, fatto apposta per farti sanguinare e, al contempo, riflettere. La storia è quella di uno scrittore di nome Gerard (Jeroen Krabbé) scapestrato, alcolista e piuttosto sgradevole umanamente, che si prende una scuffia per Herman (Thom Hoffman), un ragazzotto muscoloso visto (e perso) per caso alla stazione ferroviaria di Amsterdam. Per una serie di coincidenze finisce col frequentare Christine (Renée Soutendijk), una donna misteriosa e magnetica che è proprio l'amante del ragazzo. Gerard così si serve di Christine per arrivare a Herman ma, strada facendo, scopre cose inquietanti che riguardano la sua partner, come ad esempio i tre matrimoni finiti con la morte dei relativi mariti, e teme di poter essere il quarto candidato alla tomba di famiglia.
La sceneggiatura è un mezzo del quale Verhoeven si serve per andare a parare un po' dove gli pare; la storia è relativamente importante, è una specie di autobus sul quale lo spettatore sale diretto ad un fermata che tuttavia è già stata inappellabilmente stabilita dal regista. Ciò che realmente conta sono i personaggi ed il modo nel quale viene raccontato il loro attraversamento della realtà apparecchiata da Verhoeven, grottesca, estrema, fantastica, psichedelica, financo horror. E' possibile guardare Il Quarto Uomo è interpretarlo in maniere molto diverse tra loro. C'è una possibile chiave religiosa, che è quella privilegiata dal protagonista, la quale potrebbe spiegare tutti gli eventi. Ce n'è una molto più razionale e prosaica, che è verosimilmente quella prediletta dal regista ma che tuttavia non ci viene in alcun modo imposta, convive con l'altra, in modo del tutto parallelo ed equipollente, senza invasioni di campo. La vicenda sta perfettamente in piedi sia che adottiate il punto di vista di Gerard sia che lo rifiutate, depauperandolo di ogni appiglio spirituale e miracolistico, e riportiate il tutto alla stretta correlazione di logica e casualità degli eventi, solleticate da una certa dose di alcol che Gerard ingolla, nonché da un alto livello di suggestione del protagonista, tranquillamente definibile come uno psicolabile cinico e risoluto, "borderline" come personalità e attinenza alla sfera del reale.
Non è da meno Christine, una figura estremamente ambigua e sfumata, evasiva, elusiva, sibillina. Christine è un pericolo costante, 24 ore su 24, e con lei pare diventarlo l'intero genere femminile tout court, suddiviso tra due polarità estreme, il salvifico ed il diabolico, la strega e la madonna. In questo senso l'omosessualità diventa quasi un percorso obbligato o, perlomeno, un riparo dai pericoli che la donna - e quindi per proprietà transitiva l'eterosessualità - rappresentano per l'uomo. Ecco scaturire quindi l'accusa di misoginia verso il regista. Anche se, a ben vedere, Gerard di suo non è esattamente un tipo umano raccomandabile e moralmente integerrimo, e non certo per via dei suoi gusti sessuali, semmai per l'egoismo, l'opportunismo, il cinismo con il quale coltiva qualsiasi rapporto umano, che si tratti di donne o di uomini. Va ancora peggio se possibile alla religione, sorta di oppio capace di giustificare tutto e dare un senso ad eventi altrimenti difficilmente spiegabili. Verhoeven la definisce apertamente una forma di schizofrenia tramite la quale spiegare il mondo, per altro intrisa di sangue e violenza. Come di sangue e violenza sono intrise le visioni allucinanti che ha Gerard durante il suo viaggio fisico ma anche "iniziatico", incubi ad occhi aperti, premonizioni sempre macabre e inquietanti che finiscono con il sovrapporsi alla realtà. Il Quarto Uomo riesce ad essere una pellicola al contempo estremamente rozza e sottile, brutale e feroce nella sua rappresentazione visiva (ma anche concettuale), eppure tutta giocata su allegorie, simbolismi e rimandi che spingono lo spettatore a volare alto ed impiegare il proprio intelletto. Ci sono eco di Cronenberg nei fotogrammi di Veroheven (o viceversa). Indubbiamente un film dal forte impatto visivo, potente ed alienante, non di rado disturbante.