Spesso si arriva ai film per analogia, per proprietà transitiva per catene di Sant'Antonio. Mi sono imbattuto ne Il Professore seguendo Monica Malinowska. Partendo da Roger A. Fratter, nei cui film avevo conosciuto la Malinowska, sono approdato a Sergio Zanetti e a quello che sembra essere stato il suo film esordio. La cosa buffa è che la Malinowska qui ha una sola posa ed un paio di poster affissi nella stanza in cui viene praticamente ambientato tutto il film. Aleggia come una presenza inquietante ma non si vede mai e la sua partecipazione può essere declassata a semplice comparsata. Il Professore è un film a sé stante che idealmente per me aveva un ponte di collegamento con Fratter per la medesima appartenenza ad ambienti cinefili indipendenti, cinema italiano di provincia che cerca di farsi largo come può (cioè con mezzi economici risicati) perlomeno nel circuito dell'homevideo.
Con molta sincerità confesso che dopo i primi minuti ero abbastanza disperato, convinto di essere al cospetto di una trashata di livelli infimi e insalvabili. La regia pareva decisamente sciatta ed amatoriale, con riprese in esterna fatte di luci abbastanza orribili. I primi dialoghi non sembravano all'insegna della grande letteratura e la protagonista, da subito sotto i riflettori, esibiva una dizione ai limiti del tollerabile (mi auguro un po' accentuata da parte dell'attrice per creare un tratto marcatamente "caratteristico"). La storia verte su di una studentessa universitaria, Roberta (Lucia Centorame), che viene bocciata per l'ennesima volta ad un esame universitario. Imbufalita, decide di "combattere" il Professore (Marco Giacinto D'Aquino) con le sue migliori armi a disposizione. La sera precedente alla nuova sessione di esami si imbatte "casualmente" nel docente al ristorante, si siede al suo tavolo (dopo essere stata omprovvisamente congedata dal fidanzato) e inizia un corteggiamento serratissimo durante il quale alterna stalking, volgarità e dolcezze, secondo una precisa filosofia di bastone e carota. Riesce ad intrufolarsi nell'appartamento del Prof, dove in breve rimane in tacchi e mutandine. Ha inizio la resa dei conti tra i due personaggi che durerà l'intera nottata; non è chiaro chi tenga testa a chi, con continui rovesciamenti di fronte e strategie seduttive.
Con altrettanta onestà intellettuale (termine che magari per qualcuno striderà come un ossimoro in questa recensione) devo ammettere che, abituatomi alla "cifra" estetica del film (e soprattutto alla terribile voce della Centorame), tutto ha preso una luce diversa. Varie le considerazioni da fare. Per quanto la sceneggiatura e le situazioni (piccanti) sembrino buttate lì tanto per far sensazione e prurito, Zanetti ha una sua logica, una sua visione lucida del film da portare a casa. La tenzone tra i due personaggi è un vero e proprio duello teatrale (anche di fatto, visto che per quasi 80 minuti tutto avviene su un divano) e un gioco al massacro del genere non lo puoi reggere se non c'è una regia, una storia e due attori in grado di sostenere le parti. La Centorame, al netto della fisicità che buca lo schermo, incarna uno stereotipo preciso e soprattutto perfettamente calzante a ciò che lo script e il "clima d'ambiente" richiedevano. Non è affatto banale recitare per un intero film sostanzialmente nuda, con naturalezza e spigliatezza, come si indossasse un abito di scena. L'attrice convince lo spettatore non perché sia bella ma perché è determinata, sicura, credibile nella sua interpretazione. D'Aquino dal canto suo le tiene testa rispondendo colpo su colpo come in una finale a Wimbledon.
Con tale ristrettezza di ambienti e tempi, l'assenza di buone battute di dialogo avrebbe ucciso immediatamente il film, cosa che non avviene, manco ci trovassimo al cospetto di una sorta di Polanski di periferia. Com'è...come non è, Il Professore a un certo punto diventa un signor film, nel quale i due antagonisti battagliano senza risparmiarsi un attimo. E non mancano i colpi di scena. Gli ultimi 20 minuti sono all'insegna di sorpassi continui, fino all'ultimo fotogramma. Chi vince lo fa al fotofinish. E, a ritroso, ti ritrovi a dover prendere atto che ciò che era cominciato come una pessima avventura si è invece rivelato uno stimolante percorso ad ostacoli fatto di piccole cose rese alla grande. Complimenti.