Nel 1990 Joe D'Amato si occupa di 7 film. Che l'approccio sia quello della catena industriale è innegabile, che 7 titoli potessero essere tutti allo stesso livello qualitativo, impossibile. L'anno dopo saranno 3 e quello dopo ancora 4, evidente insomma come Massaccesi fosse un rullo compressore che, perlomeno a quest'altezza cronologica, andasse più per quantità che per qualità. Il Fiore Della Passione in particolare rientra in quei lavori "americani", prodotti con la sua Mirage Film, fondata nel 1980. Senza infamia e senza lode, con un piglio mestierante e tutto volto all'ottimizzazione del materiale disponibile. Minimo sforzo "massimo" risultato, dove con massimo si intende appunto ricavare il massimo possibile dato il minimo di partenza. La sceneggiatura (di Daniel Steel aka Daniele Stroppa) è la banalità squadernata, un triangolo sessuale nel quale una femme fatale sposata con un losco oste di Giringiro Creek, da qualche parte nella polverosa e indolente provincia degli Stati Uniti, se la intende anche col giovane e assai più aitante di lui fratello, appena uscito di galera dopo un "incidente" (omicidio) che gli è costato 5 anni. Nel poligono a tre punte tenta di inserirsi anche una procace cameriera sedotta dall'ex galeotto, con poca fortuna però, poiché lui preferisce le finte bionde (platino). Fondamentalmente Il Fiore Della Passione è tutto qui, banale come il suo titolo. I personaggi sono talmente stereotipati e tagliati con l'accetta da non essere nemmeno bidimensionali, ma mono, un solo tratto caratteriale li descrive in tutto e per tutto. La bollente Kristine Rose è bollente e basta, il virile Robert La Brosse è virile e basta, Jack Ciolino è viscido, Kristine Frischhertz è belloccia e funge da diversivo. Punto e stop. Tutto va esattamente come deve andare, finalizzato ad un racconto che non presenta la minima increspatura o zona d'ombra, ma scorre come acqua su una parete di marmo inclinata. Apparecchiata la storia, D'Amato si limita a riprenderla da angoli nemmeno mai particolarmente suggestivi o creativi, aspettando i momenti clou, ovvero gli amplessi di La Brosse, unico ad accoppiarsi ripetutamente nell'arco degli 85 minuti di proiezione.
Che poi, per essere un "erotico d'autore", il film è anche scarsamente erotico. Le scene d'amore sono 3 o 4, per la verità abbastanza caste (e speculari l'una con l'altra), nulla che non si possa vedere abitualmente in un film "mainstream" con Salma Hayek o Demi Moore, una tetta che sbuca fuori, uno stacco di coscia e qualche primo piano in estasi; niente di che per uno che si chiama Massaccesi ed ha rivoltato l'erotismo come un calzino (fino a sconfinare nella pornografia). Detto della sceneggiatura (e della regia insolitamente piatta e "industriale"), non va meglio con gli attori, 4 facce da telefilm di Italia 1 degli anni '80. La Rose ha un fisico da pin-up ma non è poi questa gran bellezza, molto meglio la ruspante Frischhertz; La Brosse e Ciolino vengono spacciati come fratelli ma sono agli antipodi, per aspetto fisico, età e carattere, francamente una bella pretesa. La Brosse poi ha più seno della Rose, pure questo crea qualche scompenso. Sulla recitazione credo si possa stendere un velo pietoso. In tutta sincerità, non si vede l'ora che il film finisca, e purtroppo pure il finale non ci prova affatto a regalare qualcosa allo spettatore, un epilogo modesto e dimesso come tutto il resto della storia. Episodio più che trascurabile nella filmografia di D'Amato, a patto di non essere dei completisti irriducibili, o tra coloro i quali non intendano perdersi nemmeno uno dei titoli nei quali compare (persino non accreditata) Laura Gemser, amica e feticcio di D'Amato, che qui si presta a due pose, una nella quale ammicca a La Brosse circuendolo in un bar, la seconda nell'auto di lui, quando si china sui suoi pantaloni. Un momento alquanto sconfortante, poiché quel bell'imbusto di La Brosse molto probabilmente non avrà avuto la minima idea che al suo fianco e sui suoi gioielli di famiglia si stava adoperando (oramai quarantenne e a fine carriera) una delle attrici che più avevano fatto sognare il pubblico italiano (ed estero) negli anni '70, proprio grazie a Joe D'Amato.