Il Fantasma Dell’Opera

Il Fantasma Dell’Opera
Il Fantasma Dell’Opera

Il Fantasma Dell'Opera di Arthur Lubin (1943) è il terzo film tratto dal testo di Gaston Leroux, dopo il primo esperimento muto ed in bianco e nero del 1916 di Ernst Matray ed il ben più celebre adattamento con Lon Chaney del 1925 (sempre muto e sempre in b/n). Benché venga etichettato come un remake, è piuttosto difficile trattarlo come tale, poiché il film di Lubin si prende molte libertà tanto dal film di Rupert Julian, quanto dal romanzo di Leroux, non a caso infatti la prima versione cinematografica ricalcava fedelmente il libro. Il Fantasma del '43 invece si prende un bel po' di licenze poetiche. In comune con la pellicola precedente ha naturalmente la genesi letteraria, la produzione Universal ed il set, visto che la replica dell'Opéra Garnier di Parigi, costruita nel fatidico stage 28 degli Universal Studios californiani (un set gigantesco nonché il primo in acciaio ad essere costruito alla Universal), venne recuperata ed utilizzata anche stavolta. Ed in effetti il teatro parigino è senza dubbio co-protagonista con gli attori in carne ed ossa, riveste un ruolo di primaria importanza ed affascina in maniera incommensurabile lo spettatore. Un infinito dedalo di corridoi, pertugi, curve, sottopassi, anfratti e cave sotterranee, una città dentro la città di Parigi, un labirinto nel quale perdersi è un attimo e che genera il sospetto che una larga parte sia rimasta inesplorata da sempre.

L'impronta che Lubin e la Universal danno alla storia sa più di fantastico che di orrorifico, anzi di gotico non c'è quasi più nulla, è il barocco lo stile che regna incontrastato. Vuoi per la magnificenza di un technicolor definito allora "fiammeggiante" (e lo è, credetemi), per il quale l'impianto luci richiesto fu esagerato, vuoi per gli arredi del teatro, vuoi per i costumi e l'atteggiamento glamour dei personaggi principali, questo Fantasma non spaventa nessuno ma scaraventa dentro una sorta di grande racconto avventuroso fatto di romanticismo e mistero, mai di terrore e oscurità. Persino i sotterranei del teatro, la magione che accoglie il reietto fantasma, sono più una roba da "Ventimila Leghe Sotto i Mari" che la fogna di un assassino deforme. Claude Rains (già Uomo Invisibile per la Universal) è un distinto signore dai modi affettati, che si trasforma suo malgrado nel fantasma la cui leggenda terrorizza le maestranze del teatro. Ma la sua mutazione in Dr. Jekyll si limita ad un abito estremamente signorile, una innocua mascherina sul volto, ed un trucco soggiacente che non spaventerebbe nemmeno una platea di Lilli E Il Vagabondo (Rains accettò la parte proprio ponendo la condizione di un make up estremamente leggero, per paura di rimanere incatenato ad un personaggio "mostro" ed al genere horror, come capitato a Lugosi e Karloff). Per altro il fantasma si vede pochissimo in scena, il grosso del tempo lo trascorriamo con tre protagonisti da romanzo rosa, la soprano Susanna Foster, il baritono Nelson Eddy e l'ispettore di Polizia Edgar Barrier. La donna, giovane ed ingenua come Biancaneve, è contesa dai due maschi, in una tenzone che ha dei veri e propri momenti comici (come quando i due si incastrano passando contemporaneamente dalle porte). L'aspetto investigativo e segnatamente orrorifico della storia è del tutto vago ed aleatorio, si capisce rapidamente che a Lubin non interessa. Basti l'incipit del film, un lunghissimo prologo che riprende quasi in tempo reale lo svolgersi dell'opera lirica nel teatro, per afferrare l'antifona. La musica ne Il Fantasma Dell'Opera 1943 conta forse più della storia stessa. E le musiche composte, per evitare beghe di diritti d'autore, vennero costruite appositamente a partire da motivi popolari.

Generosissimo spazio è concesso alle esibizioni di Eddy, quasi il film volesse valorizzare più lui che il fantasma, idem per le performance della Foster. Alcuni punti fermi comunque rimangono, ad esempio la scena dell'immenso lampadario fatto crudelmente cadere dal fantasma sulla platea degli spettatori, mentre altri vengono reinterpretati; ad esempio la deformità del fantasma, non più congenita ma frutto di un incidente. Il Fantasma Dell'Opera della Universal comunque, nonostante tutte le premesse fatte sin qui, riscosse un enorme successo di pubblico, e conquistò un paio di Oscar (miglior fotografia a colori e miglior scenografia), unico tra i "mostri" della casa cinematografica ad ottenere un simile riconoscimento. Il buon riscontro fece subito mettere in cantiere un seguito che si sarebbe dovuto intitolare The Climax. Se osservate bene la scena del crollo dei sotterranei (clamorosamente causato da un semplice sparo di pistola, nemmeno si fosse trattato di una bomba H), l'ultima sequenza ritrae iconicamente il violino, l'archetto e la maschera del fantasma adagiati per terra, tra le macerie, mentre si ode il rumore di rocce che si muovono, come a dire che il fantasma potrebbe essere sopravvissuto e starebbe riemergendo dai detriti. Eddy, Rains e la Foster avrebbero dovuto prendere parte al sequel. Alla fine The Climax (La Voce Magica da noi) uscì nel '44, ma non aveva in cartellone nessuno dei precedenti protagonisti ed era totalmente svincolato dal film precedente anche a livello di sceneggiatura. Se poi volete proprio infliggervi una pena, potete sempre andare a recuperare la versione di Dario Argento del mito creato da Leroux (Argento per altro si dichiara innamoratissimo del film di Lubin, primo horror visto in vita sua), dove il fantasma è addirittura un affascinantissimo Julian Sands senza la minima traccia di deformità.

Trailer ufficiale

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