Michel Piccoli e Romy Schneider hanno lavorato spesso assieme e molte volte sono stati diretti da Claude Sautet, Il Commissario Pelissier è una di quelle pellicole che li vedono coinvolti, un poliziesco dagli accenti fortemente drammatici e financo noir. Pelissier (Michel Piccoli) è ossessionato dall'impunità della criminalità parigina, da giudice non è riuscito ad assicurare alla giustizia chi lo avrebbe meritato ed ora, da poliziotto, vive esclusivamente per quello. Eternamente scontento, riottoso, scontroso, decide di dare una mano al destino, manipolando una banda di criminali di piccolo cabotaggio, istigandoli a rapinare una banca (della quale si finge il padrone), per poi incriminarli. Coglie al volo l'occasione dell'incontro con un vecchio amico, Abel (Bernard Fresson), che si dedica ai furti di ferro e rame (e saltuariamente automobili) da rivendere ai robivecchi. Gli instilla l'idea del salto di qualità, e poi passa a lavorarsi la sua compagna, la prostituta Lily (Romy Schneider), usandola come pungolo nei confronti di Abel e facendole annusare il profumo dei soldi e di una vita agiata.
- SPOILER: quando la banda si deciderà a fare il colpo, Pelissier li attenderà al varco, arrestandoli uno dopo l'altro, salvo Lily che rimarrà a piede libero. Ma il commissario di zona Rosinsky (François Périer) si incaponisce ad indagare vari favoreggiatori della rapina e tra questi Lily. Quando Pelissier ne viene a conoscenza intima a Rosinsky di lasciar perdere la ragazza, ma al netto rifiuto del commissario, Pelissier estrae la rivoltella e lo fredda in commissariato, tra gli occhi di decine di testimoni.
Il titolo originale del film, Max e i Robivecchi, lascia intendere un approccio molto più intimista e minuto alla storia. Poiché se è senz'altro vero che la pellicola è un poliziesco con tutti gli elementi tipici del genere, è anche vero che per buona parte (tutta la sezione centrale), il leit motiv è il rapporto umano e sentimentale che si sviluppa tra il commissario e Lily. Pelissier appare sin da subito come un uomo difficile, ermetico, molto trattenuto e soprattutto roso da un malessere interiore inesorabile. Un tormento che non si esterna mai, anzi i modi sono sempre asciutti, severi, austeri, tuttavia lavora incessantemente all'interno, rendendo l'esistenza di Pelissier una specie di inferno in Terra. Il contatto inaspettato con Lily squarci la corazza e fa annusare a Pelissier l'odore della vita, forse addirittura della felicità. Due solitudini si incontrano, un uomo che vorrebbe avere ciò che non ha avuto ed una donna che non ha mai avuto niente e finalmente potrebbe avere qualcosa. Il rapporto tra i due è autentico e genuino, ma non sincero, perlomeno da parte del poliziotto, che usa la donna per compiere il proprio piano, far commettere un reato alla banda del compagno di Lily e potersi assumere il merito della cattura. Andrà esattamente così, come un meccanismo che, una volta messo in moto, non può più essere fermato. E' ciò che accade quando si gioca con il destino, Pelissier innesca la scintilla ma poi non è più in potere di gestire la macchina. Finché il piano non si realizza l'uomo è obnubilato dell'adrenalina, dal raggiungimento del risultato, ma quando tutto si compie e - per la prima volta - Pelissier si ferma ad osservare da vicino cosa ha realizzato, torna immediatamente ad essere scontento come è nella sua natura. Il suo capo si congratula per meriti raggiunti ma Pelissier sbuffa, non si riconosce alcun merito, in fin dei conti ha solo condannato alla galera dei poveri cristi che non avrebbero mai pensato di compiere una rapina in banca se lui non gliela avesse messa diabolicamente su di un vassoio d'argento. E, quel che è peggio, non è riuscito a tenerne fuori Lily, acciuffata da Rosinsky e destinata quasi certamente alla galera pure lei.
Quest'ultimo dettaglio lo acceca e lo sveglia dal torpore come una sberla terribile, si precipita al commissariato di Nanterre (banlieue a nord ovest di Parigi) e minaccia Rosisnky, il quale si intirizzisce, sentendosi prevaricato, ed è allora che, senza alcun orizzonte di speranza davanti a sé, Pelisier estrae l'arma da fuoco, sotto gli stessi occhi di Lily, fermata in attesa di essere interrogata dal magistrato inquirente. L'incubo finisce non appena viene esploso il proiettile (anzi tre), tutto si è consumato, Pelissier cade vittima della stessa trappola tesa per altri. Rassegnato si lascia portar via, non senza incrociare un'ultima volta lo sguardo di Lily incredula, ma Pelissier neppure lo regge, è perso nel labirinto della sua mente. Adesso è il tempo della colpa e del castigo, secondo quanto raccontato da Dostoevskij. Il film di Sautet ha delle atmosfere incredibili, a cominciare dai titoli di testa che scorrono sulle immagini in negativo e saturate da colori violenti, mentre le musiche (splendide) di Philippe Sarde incorniciano le immagini. Piccoli e la Schneider sono due interpreti magnifici, ma più in generale tutto brilla di una luce di eccellenza. Un film "di genere" che va molto oltre il genere, toccando corde esistenziali e filosofiche, dipanando psicologie vere ed approfondite, grazie anche a dialoghi mai banali o dozzinali. Un film dolente che resta dentro, lasciando cicatrici (metaforiche) al suo passaggio.