Oscar come miglior film alla cerimonia del 2016 e se la vedeva con corazzate come Il Ponte Delle Spie di Spielberg e Revenant con DiCaprio; sono altre cinque le candidature ma l'unica altra statuetta che si assicura è quella per la miglior sceneggiatura originale. Il Caso Spotlight riporta in auge il filone del cinema giornalistico d'inchiesta fatto di uomini (e donne) che lottano contro il sistema, contro la diffidenza, contro nemici ora visibili ora invisibili, appoggiati dai connivenze politiche e pronti a minacciare e colpire chiunque si intestardisca a dare in pasto ai cittadini la verità, soprattutto quando è scomoda. E cosa può esserci di più scomodo di altissime gerarchie ecclesiastiche (stiamo parlando della chiesta cattolica degli Stati Uniti, nello specifico Boston) che per anni hanno coperto decine e decine di preti che sul territorio hanno molestato dei minori? Il Caso Spotlight basa la sua sceneggiatura iridata su fatti realmente accaduti e fatti emergere dal The Boston Globe (del quale Spotlight era una piccola divisione interna, specificatamente dedita ad inchieste verità) a proposito dell'arcivescovo Law, indagine che vale il premio Pulitizer al Globe nel 2003 e che fece da apripista per una serie di ulteriori indagini sui casi di pedofilia che emersero dopo quella prima denuncia. Come sarcasticamente il film ci fa notare (sui titoli di coda), anche la Chiesa cattolica avviò propri accertamenti, al termine dei quali Law fu trasferito a Roma per uno degli incarichi più prestigiosi attribuibili all'interno del Vaticano. Esattamente come accade ai giornalisti nel film, anche la pellicola stessa suscitò alla sua uscita diverse polemiche ovviamente esplose primariamente da parte di ambienti cattolici o filo clericali. In Italia ad esempio si distinse Giuliano Ferrara che bacchettò il film per aver dato un'immagine della Chiesa ai limiti dell'associazione mafiosa. Famiglia Cristiana invece ne apprezzò pubblicamente il coraggio e l'amore per la verità. Politicamente corretto e bava alla bocca contro "laicismo becero" e "stolido pregiudizio anticristiano" si fronteggiarono alacremente per qualche settimana.
Spotlight è innanzitutto un film e questo spesso lo si tende a dimenticare quando si ha a che fare con storie basate su fatti veri e dal grandissimo portato emotivo e civile. Al di là del messaggio (dal quale è difficile prescindere), Spotlight ha i suoi meriti anche da un punto di vista squisitamente tecnico. E' un film ottimamente diretto da McCarthy (regista di nicchia con pochissime pellicole alle spalle prima del 2015), ottimamente fotografato da Masanobu Takayanagi e divinamente interpretato dal cast. Non ci sono primi violini ma tutta l'orchestra lavora all'unisono per cercare di offrire un quadro d'insieme dove l'unione fa la forza. Michael Keaton, Mark Ruffalo, Rachel McAdams, Liev Schreiber e Stanley Tucci sono solidi, affidabili ed eccellenti interpreti dei rispettivi personaggi, li caratterizzano con mestiere, dando piccoli tocchi di riconoscibilità qua e là ma senza mai strafare o gigioneggiare. Come ad esempio Ruffalo che dipinge questo giornalista di origini portoghese, sempre con le mani in tasca, dimesso, leggermente ricurvo nella posa e con la bocca sempre piena come stesse perennemente masticando tabacco. Ho adorato il commento musicale di Howard Shore, così come l'atmosfera di una Boston autentica e viva è da brividi. Spotlight è uno di quei film molto parlati, con tantissime scene di interni tutte uguali (uffici con scrivanie, scartoffie e computer) nelle quali il talento di chi lo dirige e lo recita sta proprio nel non far pesare questo handicap fisiologico ineludibile. E il team Spotlight ci riesce magnificamente. E' tutto estremamente sobrio ma al contempo potente in questi fotogrammi che rifuggono dal sensazionalismo e dalla facile retorica a buon mercato. Oscar meritatissimo a mio parere (per quanto Il Ponte Delle Spie lo meritasse altrettanto) e la sensazione di sentirsi migliori come esseri umani una volta oltrepassata l'ultima dissolvenza.