I Migliori Giorni

I Migliori Giorni
I Migliori Giorni

Edoardo Leo e Massimiliano Bruno dirigono questo film in team, scambiandosi episodio dopo episodio per un totale di quattro parti simmetriche, quelle dispari a Leo quelle pari a Bruno. I migliori giorni sarebbero quelli delle feste, che però sono anche i peggiori, tant'è che il film fa parte di un dittico che proseguirà con l'imminente I Peggiori Giorni. In questa prima carrellata abbiamo Natale, Capodanno, San Valentino e l'8 marzo. Evidente l'intento di non limitarsi alla commedia, al "far ridere", ma anche al far riflettere, con un moraleggiare spesso e volentieri ridondante, retorico, perbenista, didascalico. Quello che accade sistematicamente è che da una situazione apparentemente "normale", idilliaca o comunque rispondente a tutti i canoni formali di adeguatezza (cena della vigilia di Natale tra parenti, capodanno del politico alla mensa dei poveri, cena tra innamorati a San Valentino, programma televisivo di costume che celebra l'8 marzo) scaturisca il sovvertimento dello status quo, col fango, il marcio e lo sporco che sbucano fuori da sotto al tappeto svelando le ipocrisie e le pochezze dell'italiano medio. Ma è tutto talmente pedante, talmente telefonato, talmente "indirizzato" al doverci spiegarci dove stia il bene e dove il male, dove il giusto e dove lo sbagliato, che succede come quando a scuola volevano insegnarti la bellezza dei Promessi Sposi, finivi con l'odiarlo per il metodo didattico non per il romanzo in sé.

Nell'episodio di Natale si fa cronaca attuale, situazionismo relativo al Covid. Bruno è il no vax complottista che si accapiglia col fratello Leo vaccinista convinto. Ho trovato profondamente irritante che in modo ambiguo e opportunista la tenzone tra i due venga offerta allo spettatore come tesi e antitesi, ovvero come due verità sostanzialmente equivalenti, portate avanti da due fanatici altrettanto sovrapponibili. Le parole di Bruno pesano quanto quelle di Leo, entrambi hanno le loro magagne, i loro scheletri negli armadi, le loro ottusità. Anziché di covid, morti (a centinaia di migliaia in tutto il mondo) e vaccini i due potevano litigare su comunismo e fascismo, Milan e Inter, su dieta vegana e dieta carnivora, il confronto sarebbe stato trattato di fatto nello stesso identico modo schematico, con uguali sottolineature da entrambe le parti. L'episodio col politico Max Tortora che va a trovare gli indigenti della Caritas è la quint'essenza del qualunquismo, siamo al "piove, governo ladro". Politico (ovviamente romano, anzi romanaccio), con moglie bionda bagascia e figlia viziata e cocainomane, che va in mezzo ai poveracci, tutti con la bava alla bocca dopo anni ed anni di soprusi. Tra loro anche l'ex autista del politico, depositario di tutte le malefatte dell'uomo, e oramai allo stadio terminale di un tumore, motivo per il quale decide di fare giustizia una volta per tutte. Tortora inchiodato sempre nello stesso ruolo, Paolo Calabresi idem.

L'episodio con la Lodovini e Agentero è forse il migliore, ma solo perché gli altri tre sono peggiori. Si tratta il tema dell'amore spento e, cambiando una vocale, anche oramai spinto dall'inerzia e dal pilota automatico, con una storia di omosessualità sullo sfondo, ma usata come mero peperoncino per insaporire, un capriccio. Argentero, come spesso gli capita, ha un ruolo decorativo tendente al macchiettismo, la Lodovini è una brava attrice anche quando deve recitare dialoghi stupidini, la Scarano è una maestosa attrice ed il suo personaggio è un pugno nell'occhio perché è l'unico vero e credibile in mezzo a dei pupazzetti che le si agitano intorno. Dove però la verosimiglianza va a farsi benedire è nel rapporto che la Scarano ha con Maria Chiara Centorami, una ventiquattrenne col cervello di un'adolescente; francamente non si comprende il motivo per cui una donna matura, intelligente e profonda come quella dipinta sulla Scarano coltiverebbe un rapporto sentimentale con una ragazzina che potrebbe essere sua figlia, non mi riferisco all'età ma all'indole, quando è evidente che il suo pari sarebbe proprio una come la Lodovini. E' sin troppo chiaro quanto quella coppia debba essere funzionale in termini di sceneggiatura all'altra, per far sviluppare l'episodio nella direzione necessaria.

Insostenibile l'ultimo capitoletto morale, quello con la Gerini, un pistolotto quasi inabbordabile sulla mortificazione, mercificazione e sessualizzazione della donna, concetti nobilissimi trattati in modo pessimo e veramente ampolloso ed accademico, con tanto di citazione di Monica Vitti. La giovane assistente di studio che fa il cazziatone ai maschi del programma rovesciandogli addosso un trattato di malcostume maschilista secolare sa tanto di manifesto declamato come fosse Giovanna D'Arco al cospetto dei francesi. Manca completamente qualsiasi sottigliezza, ogni personaggio, ogni situazione sono tirati allo stremo possibile, tutto è esasperato ed accentuato perché l'esplosione finale sia più fragorosa possibile. Al netto di tutto ciò, un ulteriore difetto del I Migliori Giorni è che si ha la netta sensazione di trovarsi davanti sempre allo stesso film italiano, con gli stessi attori, affrontato sempre con lo stesso piglio, comico ma non troppo, serio ma non troppo, moralista e politicamente corretto. E quel che è peggio è che non finisce qui, subiremo altri insegnamenti nel seguito I Peggiori Giorni.

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