House Of Gucci

House Of Gucci
House Of Gucci

Ridley Scott dirige l'adattamento cinematografico del libro sull'impero Gucci, scritto da Sara Gay Forden ("The House of Gucci: A Sensational Story of Murder, Madness, Glamour, and Greed"). Un regista americano, ancorché dal respiro fortemente cosmopolita, per una storia italiana di una famiglia italiana, con un cast fatto quasi esclusivamente da attori americani, benché sul set ci fossero diversi latini ed italoamericani. Una pellicola per la quale si era creata un'aspettativa altissima, vuoi per le star coinvolte, vuoi per l'attrattiva e la magia che il marchio Gucci continua ad esercitare, vuoi perché un blockbuster è tornato ad essere un evento dopo mesi (ed anni) di cinema chiusi o centellinati con severe precauzioni sanitarie dovute alla pandemia. E come sovente accade in questi casi tanta bramosia, con tratti persino morbosi, ha generato un rimbalzo opposto e contrario, scontentando fisiologicamente tanti, per non dire quasi tutti. Perlomeno a livello di critica, dato che sin qui ho solo letto recensioni negative e gli unici giudizi positivi, moderatamente tali o entusiastici, sono arrivati da semplici spettatori. Beh io sono uno di quelli. A me House Of Gucci è piaciuto da morire! A cominciare dalla coppia di protagonisti, Lady Gaga (Patrizia Reggiani) e Adam Driver (Maurizio Gucci), letteralmente giganteschi nei rispettivi ruoli, due professionalità enormi due eppure entrambi attori "emergenti" o comunque stelle che si stanno affermando come tali sotto i nostri occhi e che probabilmente ci garantiranno anni ed anni di cinema raggiante se questo sono le premesse. La firma di Scott dietro la macchina da presa stavolta è particolare, non è il solito Ridley Scott, la sua mano è meno protagonista, più defilata, salda ed elegante, ma saggiamente asservita al racconto, un passo indietro, per mettere in risalto i mille protagonisti e le situazioni del ricchissimo House Of Gucci.

Sono state rimproverate a Scott molte inesattezze, come Maurizio Gucci che legge Il Foglio Quotidiano (fondato un anno dopo la sua morte), o l'omicidio inscenato nel quartiere romano Coppedè anziché a Milano, in via Palestro (pare perché quel giorno a Milano piovesse), capricci che il regista si è sempre preso (basti pensare alla versione fantasy della Roma antica de Il Gladiatore) e che per quanto mi riguarda non aggravano in alcun modo la resa e la qualità di un film. House Of Gucci è "ispirato" ad una storia vera, è la manipolazione di una scrittrice prima e di un regista poi, quindi è del tutto normale che due autori abbiano adattato al proprio gusto, alla propria visione artistica ed alle proprie parafilie questa narrazione. Se si è in cerca della esatta cronaca o della storiografia filologica si possono reperire online le trasmissioni giornalistiche e le interviste dell'epoca. Questo è cinema. Per quanto attiene alla stereotipizzazione dei personaggi, alla loro italianità cafonal (e quindi, per proprietà transitiva, mafiosa), del fatto insomma che qualsiasi vicenda riguardi dei facoltosi italiani diventi Il Padrino e I Soprano, c'è senz'altro una parte di verità in questo; ma d'altro canto va anche considerato che il tasso di pacchianeria e di kitsch che il film porta con sé è proprio ed endemico della storia che racconta. Patrizia Reggiani è stata una figura enormemente kitsch (stiamo parlando di una signora che si è detta contrariata e delusa per non essere stata contattata da Lady Gaga per ricevere consigli ed indicazioni su come interpretarla); Gucci è un marchio notevolmente pacchiano, come lo è sempre tutto il corollario legato all'universo fashion, delle passerelle di moda, del lusso e dell'ostentazione oltre ogni limite (nel film vengono elencati i beni e le proprietà che il patrono Rodolfo Gucci lascia in punto di morte al figlio Maurizio e si tratta di una lista degna di un sultano del Grande Oriente). In questo il film è sin troppo onesto, corretto, attinente alla realtà e mi pare che certa critica, soprattutto italiana, abbia voluto mettere il muso più per sciovinismo che per altro, senza gustarsi l'assoluta magniloquenza dell'opera messa in piedi da Scott e dal suo incredibile cast di attori.

La messa in scena di Scott è eccellente, meravigliosa, del resto le location svariano dai luoghi più esclusivi della Valle D'Aosta a St. Moritz, da Firenze al Lago di Como, da Milano a via Condotti a Roma. La sceneggiatura sa muoversi agilmente tra un umorismo tragicomico sempre soggiacente, il thriller, il dramma e ovviamente, il sensazionalismo più sfrenato. Qualcuno ha parlato di una versione adulta e matura dei film vanziniani (e meneghini) tipo Miliardi o Via Montenapoleone, e in tutta sincerità il rimando non è affatto strampalato. Tuttavia non ogni cosa è perfetta. Ad esempio Salma Hayek e Jared Leto non mi sono piaciuti granché. La Hayek (che, ironia della sorte, è la moglie del proprietario di Gucci, François-Henri Pinault) è troppo glamour per risultare credibile nel ruolo della fattucchiera Pina Auriemma. Per quanto l'abbiano spettinata, acconciata in maniera trasandata e sciatta, il corpo e lo sguardo della Hayek bruciano sotto quel personaggio, spezzando in ogni inquadratura la sospensione dell'incredulità richiesta allo spettatore. Leto invece è semplicemente insopportabile (accade di frequente). Probabilmente il suo Paolo Gucci doveva essere esattamente così, ciononostante le sue linee di dialogo sono sempre le più deboli ed irritanti e il suo continuo gesticolare e recitare sopra le righe sconfina non di rado nel ridicolo, nel "troppo". Appare eclatante nei confronti a due col misuratissimo e sobrio Adam Driver, davvero due polarità opposte di recitazione. Lady Gaga è immensa, porta su di sé il peso dell'intero film, brava in modo clamoroso e per conto mio meriterebbe di diritto un Oscar per questa prova. Incredibile pensare che inizialmente si fosse pensato ad Angelina Jolie per il ruolo della Reggiani (e a DiCaprio per Maurizio Gucci), difficile immaginare una fisicità più antitetica. E' stato rimproverato a Scott anche di aver omesso parti della vicenda, soprattutto riguardo alle indagini, all'arresto e alla detenzione della reggiani, ma già così il film raggiunge i 157 minuti, con ulteriore materiale avrebbe raggiunto gli estremi di una serie televisiva a puntate, ovvio che Scott abbia fatto delle scelte ed optato per delle priorità. Ovviamente la famiglia Gucci, o quel che ne rimane (oggi non c'è un solo Gucci nell'azienda), non ha apprezzato la trasposizione filmica della propria sofferta biografia, lamentando inaccuratezze e tanta spazzatura, sebbene leggendo i giornali dell'epoca non emerga un quadro dei Gucci come di un monastero di carmelitani scalzi. A conti fatti, non credevo che lo avrei detto (con Ridley Scott sono uno che in passato ha litigato spesso), ma il signor Blade Runner stavolta ha fatto centro. Colonna sonora da pelle d'oca.

Trailer ufficiale

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