Nel 1980 Maurizio Nichetti, già sotto contratto con la Bruno Bozzetto film e con il Piccolo Teatro di Milano come attore e sceneggiatore, dirige il suo secondo lungometraggio dopo il fortunato Ratataplan del '79. Per quanto si tratti di una commedia (il tono che soggiace un po' a tutta la filmografia del regista meneghino), il cinema di Nichetti appare più facile e lineare di quel che è, motivo per il quale spesso ha evocato giudizi altrettanto facili e lineari, sin troppo. In ambito musicale (ma anche pittorico) si suol dire che talvolta la percezione di una illusoria semplicità nasconde in realtà una complessità di fondo talmente elaborata e ben orchestrata da riuscire a produrre appunto l'esito esattamente opposto. Questa è una qualità dell'artista, non un capriccio o un inciampo. Con Nichetti accade similarmente. La sua recitazione, il suo modo di raccontare e costruire il film per immagini e situazioni, di mescolare stili diversi (si pensi alle onnipresenti parentesi di animazione presenti nelle sue pellicole), di usare la musica e financo i silenzi dei personaggi (il suo omonimo Maurizio in Ho Fatto Splash pronuncia letteralmente tre parole, quelle del titolo), sono ben più articolati, pensati e mediati di ciò che arriva allo spettatore, convinto di assistere ad una storia tutta in discesa e senza la minima elaborazione soggiacente, quasi fosse una favola o un fumetto estemporaneo.
Tre coinquiline vivono alla giornata, l'insegnante Carlina (Carlina Torta), timorosa e insicura, la fumettista Angela (Angela Finocchiaro), stralunata e sempre preda di deliri onirici derivanti dai suoi fumetti, e Luisa (Luisa Morandini), aspirante attrice. Di punto in bianco arriva in casa loro Maurizio (Nichetti), cugino di Carlina che si è addormentato all'età di 5 anni e si è svegliato a 20, letteralmente. In casa c'è anche un bimbo lasciato da una quarta coinquilina partita per cercar fortuna, e che guarda sempre la tv. Maurizio, pur non proferendo parola, passa come un uragano in casa delle ragazze, rivoluzionandone il quotidiano tran tran. Il film non ha una vera e proprio trama, intesa in senso classico perlomeno, non partiamo da un punto A per arrivare ad un punto C passando da B; in sostanza non c'è un inizio, uno sviluppo ed una maturazione di eventi dati dalla transizione dalla prima alla seconda parte della storia; è più una sorta di unico flusso narrativo, una specie di eterno presente con micro variazioni sul tema, dove l'inizio è uguale alla fine, vi si ricongiunge, avendo solo illustrato una certa realtà, non avendola mutata o stravolta. Uno spaccato, si sarebbe detto una volta, ma amabile, delizioso, poetico, favolistico, alla maniera di Nichetti.
E' tutto talmente fuori dall'ordinario da esser terribilmente vero, come i personaggi che si chiamano direttamente come gli attori che li interpretano. Il bimbo ascolta continuamente la sigla di Gundam, uno spaccato di realtà che irrompe nella finzione scenica; lo stesso gioco di sponda e rimandi che avviene normalmente tra pubblicità e realtà. La pubblicità ricrea un tessuto credibile ed iper realistico nel quale lo spettatore (che poi è un potenziale futuro cliente) deve trovarsi a proprio agio, come stesse vivendo una seconda vita, una dimensione familiare in cui ritrova tutti i suoi punti di riferimento. Nichetti gioca con questa falsariga, tant'è che il titolo stesso del film fa riferimento ad uno spot pubblicitario del quale Maurizio (comparsa) è involontariamente protagonista, fino a coniarne addirittura lo slogan vincente (pronunciato anche da Manuela Blanchard, che qualcuno ricorderà in alcuni contenitori televisivi per ragazzi degli anni '80, come Bim Bum Bam). Molte delle gag comiche di Nichetti sono puro surrealismo, derivante dalla comicità muta e slapstick dei grandi del genere. Un cartoon che attraversa il film, sia per il suo aspetto stralunato, sia per il suo modo di fare. Già la scena iniziale con lui bimbo che si addormenta al cospetto di Nilla Pizzi che canta a Canzonissima (ascoltata dalla sua famiglia come fosse la messa domenicale del Papa) e poi si risveglia nella stessa casa e nella stessa posizione, ma sommerso di polvere e ragnatele, è puro divertissement onirico. Di per sé poi Ho Fatto Splash è disseminato di tanti piccoli quadretti garbati e piacevoli che si susseguono in un mosaico d'insieme, ma non è tutto così morbido e spuntato; lo sguardo che Nichetti getta sul mondo della pubblicità fatta di spot martellanti o sul grande teatro (di Strehler, quello de "La Tempesta" shakespeariana) non è affatto prive di sfumature. Pur nella sua delicatezza il film ha sorprendentemente molti nudi (evidentemente naive), compresi quelli delle attrici principali. Meravigliosa la scena della rapina alla Torta, attrice deliziosa, qui credo al suo esordio (anche se purtroppo, almeno per quanto riguarda il cinema, assai poco sfruttata). Preziosa anche la citazione di Cabaret, con la Morandini nei panni (molto credibili per altro) di Liza Minnelli che tuttavia canta "New York, New York" (derivante dal film omonimo di Scorsese).