
Alterna molti documentari a pochi ma apprezzatissimi lungometraggi Davide Ferrario (La Fine Della Notte, Anime Fiammeggianti, Tutti Giù Per Terra, Figli Di Annibale), prima di Guardami, un film che è una scommessa sotto vari punti di vista. Interessato a fare cinema per lasciare traccia e testimonianza della nostra società, del nostro esistere contemporaneo, Ferrario si "appassiona" al mondo dell'hard, con l'occhio dello studioso, dell'entomologo. La morte di Moana Pozzi lo segna, la fine di un'icona che sembrava non potesse finire, talmente grande era il suo mito. Pensa così alla storia di un'attrice hard che viene colpita da una malattia, non un male punitivo, legato alla sua professione (come sarebbe potuto essere l'AIDS o una patologia sessualmente trasmissibile), ma un malaccio di quelli che possono capitare a chiunque, che tu sia Steve Jobs o un operaio della catena di montaggio cinese di Steve Jobs. E poi c'è la vita quotidiana, quello che qualsiasi persona deve fare per arrivare a sera, nello specifico una donna, con una professione "estrema" ed una fidanzata dello stesso sesso (madre di un bimbo piccolo). Ecco la storia di Nina (Elisabetta Cavallotti), edonistica e un po' superficiale finché un linfoma non entra nella sua esistenza senza chiedere il permesso e la sconvolge. Nina deve riconsiderare tutto, i suoi rapporti umani, la sua professione, il suo corpo, i suoi affetti. Con il male, dalla stessa porta entrano altri due nuovi ospiti, Flavio (Flavio Insinna), un malato che condivide con lei le sedute di chemioterapia, e Dario (Gianluca Gobbi), un infermiere con il dono dell'ironia. Nina combatte la sua battaglia, dovendo trovare la forza e cercando di far sì che la paura non le mangi l'anima, uccidendola ancor prima del cancro.
Ferrario si prende sulle spalle una bella sfida. Gira un film sulla pornografia; su di un personaggio e sulla sua storia, ma entrambi sono indissolubilmente legati con la pornografia, alla quale Ferrario riconosce lo status di mezzo con il quale indagare il nostro tempo, poiché è diventato uno strumento di fruizione di massa, una forma di espressione, largamente diffusa e sperimentata, al netto dei giudizi morali che si possano nutrire al riguardo. Ferrario non ne nutre, o perlomeno non li lascia trasparire nella pellicola. Appare chiaro che la sua rappresentazione del mondo dell'hard, intesa come industria economica e professionale, è quella di una catena di montaggio per certi versi assurda e grottesca, anche se estremamente rigorosa e stacanovista. Non c'è compiacimento, quasi non c'è erotismo, ma solo lavoro, spesso a condizioni durissime. Nina fa il porno per motivazioni economiche, perché le piace il sesso ma anche e soprattutto per quella vertigine di potere sugli uomini che l'essere una attrice hard le dà. Gli uomini hanno paura di lei e la desiderano al contempo, questo dominio diventa indipendenza, una forza che le dà la benzina per affrontare la vita. Dice apertamente a tutti che professione fa ed anche i suoi genitori ne sono informati. Nina è una vera, genuina e lo spettatore è portato ad empatizzare con lei. Ferrario racconta della enorme differenza riscontrata sui set porno - sui quali si è documentato per 6 mesi (assieme alle redazioni di riviste del settore, ai club e alle manifestazioni erotiche) per girare il film - tra attori uomini e attrici donne. Gli uomini sono macchine, strumenti, ossessionati dal mantenere l'erezione anche fuori dal set, mentre guardano la partita o parlano del mutuo da pagare, le donne dal canto loro non provano forse il piacere così come lo intendiamo normalmente (fuori da un set porno), ma in qualche maniera si appagano della loro bravura "tecnica", della loro possibilità di soddisfare molti uomini e di compiacere l'idea maschile del sesso, un vestito che possono mettere e togliere a proprio piacimento, differentemente dai partner, sempre costretti ad essere "performanti". Il film si apre proprio sulla scena di un povero Cristo circondato da vagine e deretani che cerca disperatamente di mettere in moto il motore, senza grossi risultati.
Ferrario sa infondere profondità e sensibilità nella storia che racconta, la quale si serve del porno, lo mostra (anche esplicitamente) senza infingimenti, ma non ne fa l'alfa e l'omega della narrazione, semplicemente sarebbe stato insincero edulcorarlo o peggio ancora, nasconderlo, tanto valeva cambiare soggetto. Per le scene hard si è servito di una troupe mista, attori e tecnici per metà "normali", per metà del settore, con la Cavallotti che coraggiosamente si è messa a disposizione del film, diventando un ponte tra i due mondi. Tant'è che ha una scena di fellatio vera (iniziata ma non portata fino al suo naturale compimento) ed una esibizione sul palco di un MiSex girata come cinema verità; il pubblico non sapeva che si stesse girando un film e la Cavallotti si è comportata come una delle tante performer che salivano sul palco per esibirsi, tra lo sguardo (e le mani) della folla. Nel film si citano tre registi del porno, Luca Damiano (che recita se stesso), Antonello Grimaldi che interpreta Joe D'Amato (il quale avrebbe dovuto far parte del film ma morì a due giorni dall'inizio delle riprese) e un terzo del quale Ferrario non fa riferimenti espliciti perché particolarmente crudele (ma chi bazzica l'ambiente non avrà difficoltà a individuare una rosa di sospettati). Fa un cameo anche una giovane Vladimir Luxuria.
Il film è molto bello, intenso e coinvolgente, mai pruriginoso bensì autentico nella sua messa in scena di situazioni, personaggi e sentimenti. Unico appunto che mi sento di muovere da spettatore è l'indulgenza verso qualche momento troppo frettoloso e videoclipparo. Tutta la parte a Mostar con il padre di Nina (Yorgo Voyagis) ad esempio, cooperante umanitario, è sbrigativa, fatta di un montaggio eccessivamente rapido, di dialoghi poco contestualizzati e che, a tratti, rischiano di peccare di superficialità; la differenza si nota e si sente proprio perché il resto del film non lo è affatto. A suo modo poetica e speranzosa la fine. Al solito, la sempre lucida critica di Natalia Aspesi dà il senso del perché in Italia certi autori e certi film non avranno mai vita facile: "A un certo punto dal porno si passa al patetico, dalle penetrazioni alla chemioterapia. Non si ansimava prima, non ci si commuove dopo"; guardando Guardami (mi si perdoni il calembour) non si deve né ansimare né commuoversi, non credo fosse l'intento di Ferrario, semmai indagarsi un po' dentro, prendere qualche misura della realtà e godere di una storia interessante. E' vero però che la scena del rapporto amoroso che (finalmente) si consuma tra la Cavallotti e Insinna sul letto di un ospedale un pochino sul patetico scade, magari involontario (perlopiù per le improbabili facce di Insinna). Purtroppo sia la Cavallotti che Ferrario non hanno poi avuto un percorso sfolgorante nel nostro cinema, pur avendo continuato a lavorare, ma siamo ancora in tempo per rimediare.