Go Go Tales

Go Go Tales
Go Go Tales

Abel Ferrara è un regista senza via di mezzo, film demoliti e presi a ortaggi marci oppure definiti " capolavori" visionari senza mezzi termini. Non si può dire che non sia un regista privo di spunti di discussione. Go Go Tales inoltre offre almeno due motivi di interesse ulteriore, Asia Argento ed il fatto che mi ha fatto pensare di chiudere una ideale trilogia dello striptease, iniziata con Showgirls, proseguita con Striptease e culminante nel film di Ferrara (anche se, ingegnandosi, se ne possono trovare di altri, ad esempio su Cineraglio ci sono  Burlesque e Zombie Strippers). Attenendosi alle mie due motivazioni testé elencate, sono stato deluso sia di qua che di là. Asia fa Asia, quel genere di personaggio che oramai la definisce impropriamente, la ragazza sguaiata, sbattuta e volgarotta sempre in procinto di compiere gesti estremi per ricevere luci ed attenzioni. Quello le richiedeva il copione, senz'altro quello sperava Ferrara, ed è esattamente quello lei ha fatto (anche se il vituperato bacio a favore di rottweiler pare sia stata una sua deliberata iniziativa che ha colto alla sprovvista persino lo scafato Abel). Il film risale al 2007, di acqua sotto i ponti ne è scorsa e Asia nel frattempo pare aver saggiamente preso una piega meno monotematica (perlomeno professionalmente). Go Go Tales è forse l'ultimo esempio di quel tipo di caratterizzazione che Asia deve rifuggire come la peste, perché serve solo ad inchiodarla ad uno stereotipo che non la rappresenta più o perlomeno non compiutamente, e che le ha portato riscontri perlopiù negativi. Detto questo, che il suo striptease abbia "verve" è lapalissiano, ma ne ho più sofferto che goduto.

Il film in sé è bruttarello forte, senza una vera trama e con un linguaggio insopportabile già dopo i primi 5 minuti (figuriamoci sopportarne 100), uno scioglilingua di parolacce da far impallidire Tarantino, cazzo cazzo cazzo talmente ripetuto, ostentato, esibito, da anestetizzare lo spettatore senza sortire alcun effetto dirompente o trasgressivo, anzi annoiando e basta. Ferrara mi direbbe che per descrivere un ambiente come quello di un locale di spogliarelliste (elegante all'apparenza, ma in fondo gretto e avvilente) la cifra stilistica non poteva essere altra; non sono convinto, le parolacce sono dette proprio come farebbe un bambino che ha appena scoperto il linguaggio scurrile e se ne riempie la bocca per vedere quanto si scandalizzano i genitori. Puerile e basta. La trivialità messa in bocca ai personaggi contrasta con la ricercatezza delle scenografie e delle luci (la ricerca di una penombra costante). Ferrara non è uno sprovveduto, la macchina da presa la sa muovere con agio e grazia, e quando si tratta di "accarezzare" il corpo delle spogliarelliste ci sa fare. Il film però non va da nessuna parte; l'esilissima storia vedrebbe questo locale sull'orlo del fallimento gestito da un Willem Dafoe schizzatissimo e sopra le righe, col vizio del gioco, gratta e vinci, e scommesse clandestine. Non ha più un dollaro e se l'ultima giocata non andrà bene tutto l'ambaradan andrà a finire molto male; nel frattempo ci sono i creditori (un'anziana locataria che pare una ex pornostar quanto ad eleganza d'animo e portamento), i soci e le ragazze in bolletta o incinta. In attesa di sapere se Dafoe diventerà milionario o no, il suo Paradise va avanti, sera dopo sera, con gli avventori allupati, i buttafuori sempre a lavoro e le spogliarelliste dipinte come un pollaio di galline zoccole.

Le ragazze sono figurine, tutte sboccate, tutte minettiane come filosofia di vita, tutte arroganti, prevaricatrici, gelose, egoiste, stupide. La Demi Moore di Striptease o la Elizabeth Berkley di Showgirls, pur senza essere Rita Levi Montalcini, erano almeno personaggi minimamente approfonditi, dotati di una qualche personalità e tridimensionalità. Qua siamo alla carta da parati, con la sola attenuante che il potere della gnagna dovrebbe lenire ogni perplessità dello spettatore. Nessun personaggio è decentemente delineato, pure i poveri Bob Hoskins o Matthew Modine sono intagliati (è proprio il caso di dirlo) a colpi di accetta. Il film per altro è una sfilata infinita di cameo, da Scamarcio a Justine Mattera, da Yuliya Mayarchiuk a Bianca Balti, da Burt Young (il Paulie di Rocky) a una spaesatissima Stefania Rocca (costretta a fare la ragazza facile senza senso). Ferrara gira un film tutto italiano (a Cinecittà), con cast artistico e maestranze italiane, ma sembra solo voler cazzeggiare, senza avere nulla di concreto per le mani. Presentato fuori concorso pure a Cannes. Rimane la sensazione che lo stesso materiale messo in mano ad un Cronenberg sarebbe potuto divenire ben altro.

Trailer ufficiale

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