Anni Ruggenti ancora prima di essere un film di Luigi Zampa è una vera e propria locuzione che sta ad indicare gli anni '20 dello scorso secolo, una specie di epoca di grande edonismo e benessere economico, assimilabile per certi versi ai più recenti anni '80, che tuttavia portò poi alla fine della decade alla grande depressione ed al proibizionismo negli Stati Uniti; anche in Europa fu un'epoca di grande positivismo, fioritura tecnologica e delle Arti (a titolo di esempio basti citare l'art nouveau e decò), un momento di entusiasmo collettivo dopo le tragedie della prima guerra mondiale e della pandemia di febbre spagnola che tuttavia portò drammaticamente verso la seconda guerra mondiale. In questo contesto ha luogo uno dei film più importanti del cinema italiano, che mutua il titolo proprio da quegli anni, i ruggenti, benché la collocazione temporale sia il 1937. La scaturigine della sceneggiatura (firmata anche da Ettore Scola) è L'Ispettore Generale di Gogol' adattato alla situazione dell'Italia fascista, pienamente e convintamente fascista, gli anni del culto assoluto ed incontestato della personalità del Duce, un Dio fattosi uomo, il padre della nazione, un leader nei confronti del quale, come italiani, ci si doveva chiedere se si era degni e non viceversa.
In un piccolo paese del pugliese è attesa spasmodicamente la visita di un gerarca fascista in ispezione segreta. La notizia è trapelata grazie ad aderenze parentali, secondo un rodato schema tipicamente italiano; dunque tutte le piccole e grandi autorità locali, guidate dal podestà Gino Cervi e dal militare Gastone Moschin, cercano di figurare al meglio, mettendosi in evidenza (spinti in questo da mogli ambiziose ed arriviste) e nascondendo tutti i rispettivi loschi traffici fatti di mazzette e tangenti, secondo uno schema altrettanto tipicamente italiano ("magna tu che magno io...."). Il gerarca scende dal treno e prende alloggio in albergo, è Omero Battifiori (Nino Manfredi) e viene da Roma. Battifiori viene messo immediatamente sotto tutela dal podestà, servito e riverito, gli viene concesso tutto e ogni suo desiderio è un ordine. A tal punto che essendosi invaghito della figlia del podestà, la maestrina Michèle Mercier, la ragazza gli viene praticamente buttata tra le braccia. L'unica nota stonata del paesello sembrano essere i sedicenti intellettuali perditempo del circolo, capitanati da Salvo Randone, un medico antifascista militante che a suo tempo è stato anche punito pubblicamente per non aver voluto lodare pubblicamente il Duce e costretto a girare per la pubblica piazza in mutande. Neanche così l'uomo ha ceduto ai suoi principi. Battifiori, sempre più confuso e stordito, viene sballottato a destra e a manca per ammirare le meraviglie locali e la grande potenza del fascio. In realtà nel suo peregrinare si imbatte in una miseria dilagante, in un malcontento diffuso, al suo orecchio giungono voci che smascherano la cattiva politica corrotta dei vertici locali del partito e ha modo di testimoniarne con i propri occhi la pochezza umana, anche grazie alle "grandi opere" realizzate come un aeroporto che è un acquitrino e a fattorie vuote all'interno delle quali girano sempre le stesse 30 mucche da latte (che lui giustamente ribattezza "mucche da corsa"). Quando infine decide di rivelare la sua vera identità di semplice assicuratore a pigione (mai nascosta ma mai creduta), ogni velo di ipocrisia cadrà e verrà rispedito a Roma sullo stesso treno col quale era arrivato. La bella maestrina lo ripudierà ritenendolo un partito non sufficientemente eroico per la sua idea di marito e finalmente giungerà in paese il vero gerarca, nei panni di Mario Pisu. Nel frattempo Battifiori avrà stretto una sincera amicizia con il medico, il primo ad aver capito che il temuto gerarca non era un gerarca.
Gli Anni Ruggenti è un film che periodicamente andrebbe rivisto per ricordarci chi siamo e da dove veniamo. Al netto del periodo storico che fa da cornice al film, quell'italianità ci rimane appicciata addosso. Quella faciloneria, quella superficialità, quell'entusiasmo immotivato, quell'ossequio verso il potente, quella naturale tendenza al proprio tornaconto, quella idiosincrasia verso le regole esasperate in una disciplina talmente parossistica da divenire cartoonesca, quel ripudio della povertà, della miseria, del disagio sociale (ad un disoccupato viene risposto che lui non esiste in quanto nell'Italia fascista non esiste la povertà) sono stati l'humus, il terreno fertile che ha permesso ad un totalitarismo sgangherato e maccheronesco come il fascismo di attecchire e poi imporsi con la violenza, la paura e la sopraffazione. Zampa e Manfredi lo abbattono a colpi di ironia e sarcasmo, ora buffo, ora cinico ed amarissimo. Il film vive proprio di queste due anime, quella più schiettamente comica (il partito fascista del paese è un buffo accrocchio di personaggi goffi ed improbabili, degni dell'Italietta di Don Camillo e Peppone) e quella sventurata ed angosciante degli uomini che vivono nelle grotte (Matera), i poveri, i nulla tenenti, un'umanità dolente e umiliata, che non giova al fascismo e che vive di stenti, rimossa dalla cartapesta di un paese trionfante pur avendo donato i propri figli alla patria per le improbabili imprese imperiali in terra d'Africa (e poi al fianco della Germania nazista).
Il fascismo de Gli Anni Ruggenti è il ridicolo, pura imbecillità al potere, ed un semplice assicuratore lucido, razionale e con il senso della realtà è in grado di capirlo, leggerlo in controluce e persino demolirlo. Dentro questo meccanismo narrativo raffinatissimo ci sono le irresistibili battute di Manfredi (il suo monologo da ubriaco quando sputtana tutti è da storia del cinema), gli ottimi sparring partner Gino Cervi e Moschin (ma più in generale tutti i comprimari fascisti), le bellissime signore del paese, a cominciare da una bomba sensuale come Angela Luce e ovviamente la sciantosissima Michèle Mercier, il personaggio profondamente umano di Randone, che è l'Italia che non si è piegata e che ha capito l'orrore del vuoto fascista. Più in generale la progressione del film rispecchia il cinema di Zampa nel quale un piccolo uomo qualunque si pone in contrasto con il sistema, scardinandolo con l'arma della satira. Gli Anni Ruggenti è un capolavoro comico e civile, è uno dei miei titoli preferiti con Nino Manfredi ed è un film che non dovremmo mai perdere di vista.