Mentre Trump si insedia alla Casa Bianca e tutto il mondo si divide in pro e contro, Cineraglio se ne torna agli albori del mito presidenziale di Obama, rivisitando quella campagna elettorale sul versante dell'elefante. Grande outsider del Partito Repubblicano nel 2008 fu la governatrice dell'Alaska Sarah Palin, la quale per diversi mesi monopolizzò internet, stampa e tv anche oltre gli oceani che bagnano gli Stati Uniti. Un fenomeno mediatico che colse impreparati un po' tutti, forse anche lei per prima. Game Change, tv movie della HBO, prodotto nel 2012, vincitore di svariati Award e Golden Globe, tratto dal libro "Game Change: Obama And The Clintons, McCain And Palin, And The Race Of A Lifetime", dei giornalisti John Heilemann e Mark Halperin, ripercorre quei frenetici giorni dal punto di vista di Steve Schimdt, deus ex machina della campagna presidenziale del candidato John McCain (poi sconfitto da Obama).
A ritroso, durante un'intervista, Schimdt dice la sua sul confronto elettorale ed in particolare sulla Palin, sua scelta, seppur condivisa da parte dello staff repubblicano. Giusto qualche fotogramma di cornice, poi lo spettatore viene catapultato nei mesi del 2010 in cui tuttò sembrò possibile al team McCain/Palin. Per noialtri europei lo spunto è prezioso ed interessante perché non fu semplice capire quell'oggetto misterioso strappato via dalle lande gelide dell'Alaska e proiettato a Washington, nel cuore dell'America dei colletti bianchi, prossima alla stanza dei bottoni. La Palin era totalmente avulsa tanto dalla politica che conta quanto dallo "stile" della campagna elettorale voluta da McCain (senza colpi bassi, leale e moralmente corretta). Nel film si lascia intendere che la scelta venne si avallata da McCain ma sostanzialmente subita, causa ostracismo nei confronti del vice da lui designato (ebreo, abortista e democratico). Ci voleva una donna per recuperare un gap di 15 punti da Obama sul voto femminile ed una novità che scuotesse l'ambiente e trasmettesse un senso di rinnovamento. Il famoso "rinnovamento a prescindere" che anche in Italia ultimamente è andato tanto di moda. La Palin fu una specie di manna dal cielo, madre di 5 figli, eppure ancora piacente e giovanile, antiabortista a tal punto da aver accettato di mettere al mondo un bambino con la sindrome di down (nonché contraria alle interruzioni di gravidanza anche in caso di stupri o appunto terribili malattie del feto), con un figlio in Iraq a servire la nazione, amante delle armi, cacciatrice, ultra cattolica in odore di creazionismo, contro la ricerca sulle cellule staminali. La Palin avrebbe dovuto accontentare tutti, la base repubblicana non troppo convinta da certi atteggiamenti poco fondamentalisti dell'ex marine McCain, le donne, gli uomini gratificati dal bell'aspetto, i genitori dei figli portatori di handicap, i nuovisti e i giovanilisti, i cattolici e altre 20 o 30 categorie potenziali di elettori.
Tuttavia la campagna della Palin fu una corsa sulle montagne russe, piacque enormemente a buona parte del pubblico repubblicano ma sollevò molti interrogativi riguardo alla sua inadeguatezza al ruolo e alla sua scarsa (per non dire totalmente assente) preparazione su alcuni versanti come la politica estera o la storioriografia moderna e contemporanea. Il libro di Heilemann e Halperin non va giù morbido sulla Palin, tanto da essere stato stigmatizzato come pieno di "falsità" dalla diretta interessata e "inaccurato" da McCain (entrambi hanno dichiarato di non aver visto il film). Schimdt invece, quello vero, lo ha sostanzialmente difeso, dicendo che pur condensando 10 settimane di campagna elettorale in poco spazio, le vicende narrate corrispondo a verità, quello è ciò che accadde. Non molto dissimile fu il parere di altri membri dello staff della Palin. La governatirce dell'Alaska fa una pessima figura, le viene riconosciuto il carisma e la innata capacità di entrare in empatia con i suoi interlocutori, ma al dunque viene descritta come una donna profondamente ignorante, bigotta, con elementi di instabilità emotiva non indifferenti. La Palin appare più che altro come un incidente di percorso, un jolly pescato dal mazzo che si rivela come un incubo per lo staff di McCain, una serie di errori stratificati uno sull'altro fino all'inevitabile sconfitta, non dovuta alla Palin (anche perché contro Obama la vittoria era quasi impossibile) ma perlomeno anche alla Palin.
Julianne Moore interpreta la candidata alla vice presidenza con un misto di candore e spietatezza, ingenuità e horror vacui che inquieta e spaventa. McCain è un imbolsito e un po' annebbiato McCain, Schmidt è Woody Harrelson e il suo braccio destro nello staff è la bella e sensuale Sarah Paulson (che piangerà lacrime amare per non essere riuscita a trovare il coraggio di votare il suo candidato, tale era il disagio suscitatale dalla Palin). Il film è una cronaca, tutto sommato asciutta e scolastica, e a quanto dicono alcuni assai di parte. Probabilmente è così, ma rimane un documento interessante, ancorché il punto di vista di qualcuno ideologicamente schierato. McCain ne esce fuori bene, come un brav'uomo ed un bravo americano, magari non reattivissimo ma onesto e perbene; è la Palin la protagonista e tutta in negativo della storia, una figura a suo modo affascinante per quanto drammaticamente perversa e destabilizzante, oggetto di un ritratto più pietoso che crudele, quello che si riserva a chi è impossibilitato per limiti fisiologici dettati da madre natura, nonostante una ferrea volontà e deterimanzione. Lo stesso McCain non riesce a decriptarla fino in fondo, consegnandole idealmente il testimone del partito per gli anni a venire. Oggi la Palin, quella vera, quella che alle Superiori si è guadagnata il soprannome di "barracuda" per la sua aggressività, seconda classificata nell'84 alle finali di Miss Alaska, diplomata in Scienze Politiche, ex reporter sportiva, ex stipendiata da una compagnia petrolifera, mangiatrice di hamburger, pilota di motoslitte, prima sindaco della sua città natale poi governatrice dell'Alaska, continua la sua carriera politica dentro il partito ma invisa a gran parte del partito. Alle ultime presidenziali ha appoggiato apertamente Trump senza tuttavia ricavarne grossi benefici diretti e personali. Ma la Palin ha appena 53 anni e gli Stati Uniti ci hanno abituato a tutto.