
Quindici anni separano le imprese di Jena Plissken a New York e Los Angeles, e quindici anni sono pure quelli trascorsi tra 1997: Fuga Da New York e Fuga Da Los Angeles, esattamente lo stesso tempo fuori e dentro il film, cosicché almeno Kurt Russell si è potuto calare perfettamente in se stesso tre lustri dopo, un bel risparmio di make up. Carpenter cede alla voglia di tornare sul luogo del delitto, qualcosa che un regista dovrebbe evitare il più possibile, poiché raramente il risultato soddisfa le (enormi) aspettative, tranne rare eccezioni, e Carpenter è uno scafato (ma è anche uno che accetta i remake dei suoi film partecipando alla Produzione e assicurandosi un bel gruzzolo di introiti comunque vada). Saranno state le incessanti richieste dei fans, sarà stato Kurt Russell desideroso di vestire i panni del personaggio che gli ha dato fama e notorietà, sarà stato il film stesso, "larger than life", che con la sua irresistibile forza gravitazionale avrà attratto nuovamente a sé i suoi artefici, fatto sta che nel 1996 arriva Escape From L.A. e tutti abbiamo avuto un brivido lungo la schiena.
Plissken ci ricasca di nuovo, sta per finire in gattabuia ma viene opzionato dal Governo per una missione pericolosissima, trovare la figlia del Presidente degli Stati Uniti (divenuti intanto una teocrazia), pericolosa ribelle pacifista, ed estorcerle una preziosa valigetta nera contenente un telecomando in grado di guidare dei satelliti il cui potere è causare il black out totale sulla Terra. La ragazza si è alleata con Cuervo Jones, un terrorista di Sendero Luminoso, e deve essere stanata nella città carcere di Los Angeles, divenuta un luogo dimenticato da Dio e popolato dalla peggiore feccia esistente. Al solito, a Jena viene inoculato un virus letale che gli distruggerà il sistema nervoso in 10 ore, quello è il suo countdown per portare a termine la missione, o morire. Leggendo la trama appare subito evidente quanto si tratti più di un remake che di un sequel, sebbene nemmeno di remake si dovrebbe parlare ma di un vero e proprio omaggio che Carpenter tributa a quella storia, ai suoi protagonisti e al suo pubblico. Fuga Da Los Angeles è lo stesso film 15 anni dopo (con gli stessi snodi narrativi e quasi le stesse sequenze, il veleno in corpo, Plissken azzoppato, la sostituzione del nastro sul finale, etc.), e con una prospettiva fisiologicamente diversa rispetto all'originale. Naturalmente nel 1981 il mondo era completamente diverso e, sebbene il messaggio di fondo del film rimanga il medesimo, occorreva rappresentarlo con strumenti diversi. Alla visionarietà distopica e apocalittica di 1997 si sostituisce un'ironia sorniona molto più marcata (benché non mancasse neppure nella pellicola precedente, ma qui molto più cazzara e grottesca). Carpenter vuole divertirsi di più, ci sono situazioni ai limiti del comico, c'è molta azione grossolana, ci sono facce e faccette sempre più iconiche di Jena, ci sono personaggi di contorno più caricaturali e c'è una sceneggiatura abbastanza ridotta all'osso. Il che non impedisce al Carpentiere di piazzare le sue zampate (ad esempio il consesso di deturpati dalla chirurgia plastica).
A ben vedere Fuga Da Los Angeles è tutto una gigantesca paraculata, col Presidente invasato religioso (che chiama la figlia Utopia), i crimini morali (non si beve, non si fuma, non ci si droga, non si tradisce la moglie, etc....il che porta Jena a definire sarcasticamente l'America un paese "libero", e noi sappiamo che Carpenter parla a nuora perché suocera intenda), il Terzo Mondo pezzente che si ribella allo strapotere yankee, il leader terrorista identico al Che, la sgallettata Utopia che passa dai tailleurini rosa regimental ad un look da Betty Rizzo, scenari familiari americani completamente devastati e destrutturati (Sunset Boulevard, Beverly Hills, Hollywood, Disneyland), e battuttine sarcastiche a seguire tipo "nessuno è mai uscito vivo da Beverly Hills" (e Carpenter si sta sempre riferendo ai suoi contemporanei), Peter Fonda in versione Easy Rider, solo che adesso invece di fare l'hippy con la moto fa l'hippy con il surf (e quella del surf è una delle scene più divertenti), un abbigliamento da combattimento di Jena che più fumettoso non si può. Il film è più che altro una serie di gag a rullo, appiccicate un po' con lo scotch; Jena prosegue nel gioco in modalità arcade e lo spettatore si chiede quale sarà il mostro che dovrà affrontare nello schema successivo.
Gli effetti speciali sono mediocri. Stavolta i soldi non erano neppure così pochi (50 milioni di dollari di budget), a mancare semmai è quell'inventiva che ha sempre permesso a Carpenter di non dare a vedere la cronica scarsità di fondi, facendo tanto con poco. La computer grafica è bruttarella forte, e un po' toglie credibilità al film. Il terremoto che distrugge L.A. o il viaggio sottomarino del sommergibile di Jena sono proprio dozzinali, roba da Asylum (anche se giova ricordare che anche a livello tecnologico stiamo parlando di un ventennio fa, praticamente un'era geologica in questo campo, ed anche che ci furono problemi in post-produzione, visto che la Paramount impose ritmi vertiginosi, e montaggio, musiche ed effetti speciali ne risentirono abbastanza). Kurt Russell/Jena Plissken ci crede, sempre e comunque, e l'assoluta determinazione incrollabile del protagonista, nella sua ottusità, diventa un valore aggiunto al film, poiché mentre tutto intorno grida alla cartapesta lui è l'unico che ti fa credere che potrebbe in fondo essere tutto vero (almeno un pochino). Carina l'idea apocalittica del finale, che lasciava aperta la porta addirittura ad un terzo capitolo; si sarebbe dovuto chiamare Escape From Planet Earth (con la Terra oramai popolata di zombie) ma, dato il mezzo flop al botteghino di Fuga Da Los Angeles, il progetto venne abbandonato (e probabilmente in parte riciclato in Fantasmi Da Marte). Assolutamente inutile la partecipazione di Valeria Golino, pessimo il solito personaggetto di Steve Buscemi, imbarazzante pure quello del "travestito" Pam Grier, e c'è da pagare anche lo scotto del doppiaggio, con Carlo Valli che non doppia più Russell ma stavolta si limita a dirigere il doppiaggio del film.