Caterina Carone esordisce alla regia con questo Fräulein - Una Fiaba D'Inverno, dopo aver messo assieme diversi riconoscimenti come documentarista (premio Solinas, premio al Torino Film Festival per il miglior documentario e una nomination ai David di Donatello). Oltre alla regia anche soggetto e sceneggiatura sono suoi, un film insomma estremamente personale e sentito, e basta guardarlo per rendersi conto che questa fiaba non è una commessa per professione ma c'è un coinvolgimento più intimo. La cornice è quella del Sudtirolo e la cornice nella cornice è un momento speciale, una congiuntura astrale per la quale una tempesta magnetica proveniente dal sole si abbatte sulla Terra provocando sconquassi anche emotivi (per chi ci crede). In questo contesto, un viaggiatore sperduto (dentro e fuori la sua anima) raggiunge ed alloggia presso un albergo dismesso e chiuso da tempo. La proprietaria è una donna sola, piuttosto chiusa ed ostile verso il mondo. La convivenza forzata dei due farà bene ad entrambi e sbloccherà tutta una serie di meccanismi che porteranno ad una nuova primavera dopo un rigidissimo inverno. Anche la tempesta solare avrà giocato in ruolo un questa fioritura? Chissà, può darsi.
Tutta l'ambientazione ha un che di fortemente surreale, non a caso sin dal titolo si parla di "fiaba". C'è molta poesia e delicatezza nel tratteggio di Regina (Lucia Mascino), detta Fräulein, signorina, ovvero sostanzialmente zitella, e Walter (Christian De Sica), due anime interrotte, fragili, in sofferenza, mancanti di qualcosa ma affatto vuote o inaridite. Hanno entrambi bisogno di togliersi la ruggine di dosso, ognuno per i propri motivi, per una biografia alle spalle non particolarmente gentile ed accogliente. Inizialmente Regina subisce Walter, viene letteralmente invasa nella sua solitudine, che coltiva come un'armatura in grado di proteggerla dal mondo esterno. Poco a poco sente però il calore umano e l'empatia invaderle le vene e sembrerà riprendere un cammino interrotto da troppo tempo. Dal canto suo Walter non vuole mollare la vita ma combatte contro i mulini a vento, contro i fantasmi, letteralmente, ed in verità sembra sul punto di cedere ed arrendersi, ma sarà proprio l'incontro con Regina a mantenere forse accesa una fiammella. Ho molto apprezzato che il film non si conceda un lieto fine, non in modo facile e didascalico perlomeno. Il lieto fine c'è, perché le cicatrici dei due protagonisti iniziano finalmente un processo di guarigione, ma questo non comporta automaticamente un "e vissero insieme felici e contenti"; un modo un po' più adulto di concludere una fiaba, più vicino alla realtà.
Divertenti anche i personaggi di contorno, come le amiche sciroccate di Regina (che più che amiche sono ciò che passa il convento), il postino (Max Mazzotta) che le fa disperatamente il filo senza speranza, giù giù fino alle varie figurine minori come l'anziano della casa di riposo o il prete con le crisi d'ansia. Simpatico anche il rapporto di Regina con la sua gallina, Marilyn. Prova di grande spessore tanto di Lucia Mascino che di Christian De Sica. La prima ha un curriculum di tutto rispetto alle spalle, fatto di tanto teatro oltre al cinema, di Calvino, Stendhal, Shakespeare, Bulgakov, Kafka, Cechov, Ovidio, Pinter e chi più ne ha più ne metta; buffo che la grande popolarità sia arrivata come commissario di Polizia del Barlume, ma è un successo meritato perché la Mascino è tanto credibile in quel ruolo comico quanto ad esempio in quello tormentato e introverso di Regina. De Sica è una grande scommessa, ha fatto talmente tante schifezze in carriera e ultimamente si è lanciato in talmente tanti proclami boriosi che il solo nome sulla locandina fa quasi passar la voglia. Eppure sono sempre stato convinto che De Sica fosse un grande attore, capace anche di un sottile registro drammatico. Quando se ne ricorda, quando si cimenta, quando qualcuno gli offre un ruolo adeguato, è capace di interpretazioni di mestiere estremamente a fuoco e convincenti come quella di Walter, davvero "delicatissima", per ricorrere ad una sua stessa citazione. L'alchimia tra i due personaggi è l'architrave su cui si regge tutta la narrazione ed è praticamente impossibile non provare solidarietà umana per quelle due figure, due acquerelli di enorme tenerezza, uno più amabile dell'altro.
Ho molto apprezzato la regia e la fotografia, altri due elementi con i quali si respira questo clima vagamente surreale ed apocalittico derivante dal combinato disposto della natura tirolese cristallizzata nei silenzi, nella neve e negli spazi immensi, e dall'alone immanente della tempesta solare. Unico appunto che mi sento di fare è che proprio la tempesta rimane un po' appesa lì, continuamente evocata dalla voce narrante off (di Giorgio Lopez) ma poi concretamente poco calata nel film. D'accordo, ci sono dei black out energetici che tuttavia si possono addebitare anche semplicemente alle severe condizioni metereologiche del rigido inverno in Trentino. Di fatto questa tempesta è più parlata e simbolica che materiale, anche se il suo citarla ripetutamente forse contribuisce a determinare un contesto stralunato e di irrequietezza generale. Film gradevolissimo e visione consigliata.