
Sempre nel 1994, dopo Film Bianco esce Film Rosso, che conclude la trilogia dei colori ispirati alla bandiera francese. E' il turno della fraternità, Kieślowski vi si dedica dopo libertà e uguaglianza. Al netto di qualsiasi giudizio estetico o critico-cinematografico, va riconosciuto lo sforzo titanico del regista polacco di costruire una trilogia così gravosa, riguardante quasi l'intero scibile umano, in termini laici, prosaici, esistenziali. Kieślowski non vola alto verso lidi filosofici, idealistici, religiosi o politici, l'autore si sofferma sempre su storie comuni di persone normali, il nostro prossimo, ci si siede accanto in un teatro, chi incrociamo ad un semaforo o abita a pochi metri da casa nostra, ed ha un vissuto, una storia universale, emblematica, estremamente "umana", dalla possiamo imparare molto su noi stessi e sulla realtà che ci circonda. In Film Rosso il tema dell'uguaglianza è declinato con una complessità enorme, stratificazioni di riflessioni che lo spettatore è" costretto" (ben volentieri, s'intende) a fare per comprendere nella sua pienezza il raffinato ed acutissimo ordito di Kieślowski. La pellicola viaggia su due binari paralleli, consente una lettura più superficiale, "narrativa", ed una più escatologica, fatta di metafore, simboli e allusioni. Naturalmente il colore rosso è potentissimo in questo film, permea di sé la maggioranza delle scene, diviene corpo palpabile, anch'esso sostanza narrativa del film. Kieślowski appaia due storie, quella della modella Valentine (Irène Jacob) e del giudice in pensione Joseph Kern (Jean-Louis Trintignant), e quella di Augustine (Jeanne-Pierre Lorit) e Karin (Frédérique Feder), due fidanzati molto innamorati. Con il proseguo della vicenda questi due binari finiranno col sovrapporsi e persino scambiarsi, diventando l'uno il "what if" dell'altro, in un continuo gioco di rimandi e reciprocità.
La recitazione è sottile e misurata, e per la verità l'intero registro del film è tale. Una prova superba, di grandissima eleganza e spessore. Trintignant, qui 64enne, offre una interpretazione monumentale di un personaggio estremamente disagevole e politicamente scorretto, capace però di riscattarsi. Come già rilevato da Mereghetti, Kieślowski contrappone due approcci esistenziali, quello morale, guidato dal dovere coscienzioso (non necessariamente empatico, anzi forse persino egoista, perché risponde innanzitutto all'esigenza di placare le proprie angosce e le proprie ansie), e quello deterministico, che si affida al caso, al destino, che abbraccia il fluire degli eventi cercando di trovare il proprio posto in carrozza. Plasmare la realtà o adattarvisi? Valentine o Joseph? Il dilemma è sostanzialmente questo, e come nella rappresentazione dello yin e dello yang, i due insiemi si compenetrano e si influenzano vicendevolmente (anche se Kieślowski non appare come un giudice davvero super partes, il suo "sentire" epidermicamente il personaggio di Joseph viene avvertito nettamente dallo spettatore). Valentine e Joseph, così diversi, quasi opposti, trovano un punto di incontro; la loro vicinanza poi si ribalta su Augustine e Karin, ed a sua volta questo gioco di similitudini si estende per proprietà transitiva all'umanità tutta, nella direzione di una "fratellanza" degli uomini con gli uomini, accomunati da minimi comuni denominatori ineludibili. Potentissimo il gioco di specchi tra il gigantesco poster pubblicitario (7 x 22 metri) di Valentine - nel quale, con aria fintamente corrucciata, offre il proprio profilo, su sfondo rosso, per una marca di chewingum - ed il fotogramma che sigilla e chiude la pellicola, il salvataggio della donna da un naufragio che, ironia della sorte (ma sarebbe meglio dire del leviatano Kieślowski) riproduce esattamente quel poster, come a dire che la realtà e la finzione possono competere sullo stesso terreno ed anzi, la realtà può esprimere un potenziale persino maggiore, perché non ha limiti. Per lo spettatore le lunghe sessioni di dialogo tra la Jacob e Trintignant sono un autentico spettacolo, un godimento di cinema superlativo che sublima la visione di un film estremamente complesso e semplice al contempo.
Kieślowski si concede due divertissement dentro il film, la solita vecchina che tenta con mille difficoltà di gettare una bottiglia nel contenitore dei rifiuti, quadretto che viene replicato in tutti e tre i film; nel primo Juliette Binoche la osserva in silenzio; nel secondo Zbigniew Zamachowski le sorride, in Film Rosso la Jacob prende finalmente l'iniziativa di aiutarla, inserendo al suo posto la bottiglia nella fessura del contenitore. Inoltre, durante i salvataggi del naufragio che chiude la storia, Kieślowski fa sfilare i protagonisti della trilogia, che sono gli unici superstiti del disastro, forse archetipi dell'umanità che merita di salvarsi mentre attorno tutto sta andando alla malora. Kieślowski morirà due anni dopo, trasformando di fatto Film Rosso nella sua pellicola testamento.