Seconda regia di Renzo Arbore dopo Il Papocchio del quale conserva suppergiù lo stesso stile e lo stesso approccio. Helzapoppin' cinematografico, con momenti che sono continuamente dentro e fuori dal film, con Arbore che è sia regista che attore, ed una sterminata pletora di cameo ed ospitate di celebri volti napoletani a vario titolo del mondo dello spettacolo, dal cinema alla tv e alla canzone. Il pretesto è quello di farsi venire una nuova idea dopo Il Papocchio, Arbore cerca di elaborarla con l'amico di sempre Luciano De Crescenzo ma ai due non viene in mente proprio nulla. Evocato l'immancabile spirito di San Gennaro (tutto il film è una celebrazione ironica ed autoconsapevole della napoletanità e dei suoi simboli, a tal punto che la protagonista femminile, Pietra Montecorvino, soffre proprio di una patologia chiamata "napoletanità"), la sceneggiatura pioverà letteralmente dal cielo, dalla finestra di Fellini per la precisione, infatti l'acronimo del titolo sta per F.ederico F.ellini S.ud S.tory. Attraverso le imprese sciancate di Arbore, impresario, e della sua protetta Montecorvino, una cantante che di lavoro fa la sorvegliante dei bagni, tocchiamo con mano la situazione italiana e segnatamente meridionale, con tutti i suoi vizi e le sue mancanze. Tutto avviene mediante raccomandazioni, in barba al talento che la Montecorvino avrebbe, dotata di una potentissima voce blues. I due, agghindati in modo pacchiano e volgarotto ma sempre assai verace, viaggiano a Milano e poi a Roma in cerca della svolta, la Montecorvino fa la pubblicità ma la sua provenienza culturale è motivo di discriminazione. A Roma va a servizio addirittura a casa Andreotti dove, per aver rubato una mela (per sfamare Arbore), finisce persino in galera. Ma sarà il provvidenziale sodalizio con lo sceicco beige, interpretato da Roberto Benigni, a salvare la Montecorvino, che seguirà l'improbabile artista canoro a Sanremo per una esibizione coreografata.
Arbore gioca continuamente con mille citazioni, a cominciare da Fellini e dal suo sceicco bianco che qui è appunto beige e strampalato come solo Benigni sa essere. Le sue due canzoni, "Arabian Sound" e "Il Pillolo", da sole varrebbero la visione del film. Altra perla assoluta è l'imitazione di Sophia Loren da parte di Isabella Biagini. Fondamentalmente tutto il film è una serie di gag e personaggi davvero ben assortiti ed irresistibili, tanto che la pellicola ha un ritmo indiavolato anche se il primo impatto è sfilacciato e dispersivo. Ma FF.SS. non ha la minima intenzione di avere omogeneità e unità narrativa, è chiaramente un divertissement ed il piacere di chi lo ha girato è palpabile. Terribile la parentesi all'osteria romana di Arbore che assiste al pasto di Massimo Cloaca (Cesare Gigli) di nome e di fatto, cugino di un dirigente Rai che intercederà per la Montecorvo come cameriera a casa Andreotti; siamo dalle parti del disgustosissimo pranzo dei Monty Python ne Il Senso della Vita. Gigi Proietti si esibisce in un pezzo di fonetica napoletana da manuale, Luotto fa lo stesso ma con la lingua araba. Indimenticabile la pubblicità dell'iniziativa editoriale Le Facce Di Fellini, proposta da Riccardo Pazzaglia. Puro non-sense che strappa la risata. Belle ed efficaci le musiche curate naturalmente da Arbore con l'apporto di Claudio Mattone.