
Atto d'Amore, La Ragazza Del Peccato, Sexy Girl, Il Maschio E la Femmina, Io l'Amore, Les Femmes e poi diversi titoli contenenti la parola "donna" o "ragazza", nella filmografia di Brigitte Bardot è facile confondersi, la fantasia non ha aiutato autori e distributori nell'assegnare i nomi alle varie pellicole. La Bardot obnubilava le menti, la vedevi e ti veniva in mente solo il concetto di donna, femmina, amore. Femmina del 1959 è per l'appunto uno di questi, anche se, ad onore del vero, il titolo originale era assai più originale ed appropriato: Le Femme Et Le Pantin, ovvero "la femmina e il burattino". Julien Duvivier porta sul grande schermo l'ennesimo adattamento dell'omonimo romanzo di Pierre Louÿs; tra il '20 ed il '46 altre quattro pellicole erano state tratte dallo stesso soggetto ed ancora, nel '77, vi proverà pure Buñuel con Quell'Oscuro Oggetto Del Desiderio. Il film è una coproduzione italo-francese e sorprendentemente celebrò la propria prima in sala in Svezia; il tema era comunque scabroso ed i toni del film, pur senza essere espliciti, sono comunque assai forti e drammatici, evidentemente si valutò che l'elasticità svedese meglio si adattasse a recepire per prima la pellicola. Fu un discreto successo, che poi contagiò anche il resto d'Europa, Francia ed Italia comprese.
Eva Marchand vive a Siviglia, la sua famiglia è piuttosto modesta, il padre è uno scrittore francese decaduto, fuggito durante la guerra, la sua nuova compagna è una ballerina un po' megera e oramai troppo anziana per danzare. Un autista di autobus, anch'egli francese, fa il filo a Eva, e del resto qualsiasi uomo nel circondario ci ha provato almeno una volta con lei. Per puro caso, durante una festa, Eva sorprende Mateo Diaz ad amoreggiare con una donna; Diaz è un facoltoso allevatore di tori nonché uomo rispettato e onorato in tutta Siviglia. E' anche un dongiovanni accanito, e punta subito gli occhi su Eva. A causa della differenza sociale e della fama di playboy di Mateo, Eva decide di rendergli la conquista difficilissima, ai limiti dell'impossibile. - SPOILER: Costringe il nobiluomo a mortificazioni ed umiliazioni infinite, sino addirittura a spedirlo in carcere. Solo allora, dopo avergli fatto sperimentato tutte le angherie, le amarezze e le frustrazioni di un uomo qualunque lontano anni luce dal suo rango e dai suoi privilegi, Eva concede finalmente il proprio amore a Mateo.
Il film è un evidente affondo nell'universo - quasi psicopatologico - del sadomasochismo. I riferimenti a La Venere In Pelliccia non possono sfuggire (tra il romanzo di Von Sacher-Masoch e quello di Louÿs ci sono appena 28 anni). L'atteggiamento di Eva è irritante a livelli da orticaria se non inquadrato nell'ottica del rapporto "schiavo-padrone". Nessuno uomo sarebbe disposto a subire ciò che Mateo Diaz subisce, senza per altro alcuna prospettiva di arrivare poi ad un traguardo. Eva è volubile, cambia continuamente atteggiamento, schizofrenicamente; usa il bastone e la carota, e neppure necessariamente in sequenza ma anche contemporaneamente. Dà e toglie, concede e punisce, alimenta speranze e le calpesta. Indiscutibile la sua bellezza (e del resto stiamo parlando della Bardot), tuttavia ogni limite ha una pazienza, come avrebbe detto Totò, e Eva si spinge ampiamente oltre. Il personaggio di Mateo è letteralmente stordito, come un pugile massacrato di colpi, incapace di orientarsi sul ring, come un burattino per l'appunto, completamente in balia del burattinaio (naturalmente sadico e cinico, come da manuale).
A tutto ciò si sovrappone la storia di Stanislas Marchand, il padre di Eva, scrittore in odore di delazione ai tempi della Francia di Vichy probabilmente. Dapprima Stanislas è presentato come una vittima della società, un derelitto a cui tutto è stato tolto, nonostante il talento da artista. Man mano che la storia procede il suo personaggio emerge con un profilo differente, più meschino e profittatore. C'è poi l'autista di autobus, il cui amore puro e sincero per Eva non basta ad ottenerne le grazie. La donna potrebbe essere felice con lui, ma la felicità non è all'ordine del giorno, il suo "io" è tormentato, quasi alla ricerca di autoinfliggimenti di sofferenza, obiettivo per il quale la figura di Mateo Diaz è perfetta. Ed è così che Eva si gioca (e perde) la carta di un amore semplice ma troppo "piatto" e tranquillo, a fronte del mare in tempesta rappresentato dall'azzardo di domare il purosangue Diaz. Una sfida che esalta Eva ancor più dell'amore stesso. La Bardot ha il physique du role per interpretare Eva, non solo - ovviamente - per l'avvenenza fisica, ma per quell'aria sbarazzina, dispettosa e scontrosa che sostanzialmente hanno sempre i suoi personaggi, e che qui deve solo elevare a potenza e drammatizzare il più possibile. Le atmosfere della pellicola diventano morbose, torbide, amarissime ed il "lieto fine" pare tutto fuorché lieto e rasserenatore, rimane anzi un senso di forte disagio e privazione, come al termine di una battaglia dove sul campo si contano solo cadaveri.