Fargo

Fargo
Fargo

Fargo è già il sesto film dei Fratelli Coen tuttavia è quello che ha il maggior riscontro tra quelli realizzati sin lì, è il loro titolo che li fa "esplodere" a livello mediatico, un po' come accade a Tarantino con Pulp Fiction, nonostante sia preceduto dal già notevole Le Iene. Questo parallelo tra i fratelli del Minnesota e il regista del Tennessee rischia di tornare molte volte scorrendo in parallelo le rispettive filmografie. Coen e Tarantino spesso e volentieri pescano nello stesso bacino di pubblico; o meglio, la loro audience è molto vasta e coinvolge target ampi e diversi, ma intendo dire che lo zoccolo duro dei loro fan sperticati, quelli che un loro film è sempre ottimo "perchessì", fanno parte dello stesso calderone che li contiene. Questo perché - pur con tutte le dovute differenze, che ci sono - Coen e Tarantino condividono dei punti in comune. In entrambi i casi si tratta di un cinema di rottura (rispetto al panorama coevo e immediatamente precedente), piuttosto audace, sfidante, che mescola generi diversi, che non teme minimamente la violenza (anzi, la corteggia), che fa ampio ricorso a sfumature grottesche come collante per tenere assieme dramma e commedia, una sorta di camera di decompressione che consente più agilmente allo spettatore di passare dai sapori dolci a quelli asprigni. A questo terreno comune, Tarantino aggiunge un certo gusto della provocazione ed una infinita mole di citazioni, omaggi e ricorsi al cinema di genere dei '70 e '80 americano ma anche e soprattutto europeo ed asiatico; i Coen invece deviano per il mondo dei sogni, creando ambientazioni spesso oniriche, metafisiche, un po' fiabesche, sempre e comunque stranianti (ma con maggior delicatezza e meno brutalità di Tarantino). La ricerca sui personaggi è sempre approfondita, perlomeno quelli principali, perché poi altri (magari più collaterali) fungono da vere e proprie spezie che sostanzialmente devono insaporire la pietanza. A ciò si aggiunga un uso delle musiche altrettanto ricercato, anch'esso declinato secondo la diversa sensibilità dei registi, un'attenzione particolare per storie di provincia (americana) ed un uso dell'ambiente e del contesto funzionale alla trama (in Fargo la neve è uno stato d'animo). La mia è ovviamente una generalizzazione di massima, non si può riassumere le enormi filmografie di Tarantino e dei Coen in queste poche righe lapidarie, ma il tentativo è quello di offrire uno spunto di massima per mettere assieme delle eco che effettivamente si riverberano nei due universi cinematografici presi in esame.

Fargo finge di essere una storia assolutamente vera (ce lo dice un incipit in sovraimpressione) ma naturalmente non lo è (ce lo dice un'altra scritta al termine del film), anche se i Coen dissero di aver tratto spunto da svariati fatti di cronaca messi assieme come un patchwork del disagio e dell'orrido (umano). Il dettaglio ha un ruolo importante davanti all'obbiettivo della MdP dei Coen, dalla statua del boscaiolo che incombe minacciosa su chiunque entri (o esca) dalla città, agli hamburger che la McDormand mangia continuamente (anche mentre dei vermi da pesca si agitano viscidamente accanto al suo panino); dagli sguardi e le espressioni allucinate di Peter Stormare, al balbettio incerto di William H. Macy; dalla doppia zincatura sempre rifiutata dai clienti del salone di automobili di Macy, alla frustrazione per la mancanza di dialogo con il partner (criminale) di Steve Buscemi. I personaggi inoltre scelgono sempre un'azione inaspettata, qualcosa che sposti l'attenzione dello spettatore rispetto a ciò che sarebbe stato più logico e prevedibile fare. Ad esempio lo fa Stormare quando, morso da Kristin Rudrüd, va a cercarsi una pomata anziché inseguire la donna che sta fuggendo (e che poi si rovina da sola), oppure si veda lo scontro a fuoco tra Buscemi e Harve Presnell, oppure ancora la McDormand che fa amabilmente colazione con le due uova preparate dall'amoroso coniuge prima di andare all'alba sul luogo delle indagini dove sarebbe richiesta piuttosto urgentemente. La McDormand in particolare è un personaggio tutto a sé, (volutamente) in controtendenza con il suo ruolo, è incinta, è pacata, ha i modo di una comare più che di un ispettore di polizia pronto all'azione, eppure col suo fare appiccicoso e affettato raggiunge sempre l'obbiettivo, e quando a sera rincasa viene accolta dal marito premuroso, un orsacchiotto completamente all'oscuro di tutti i potenziali rischi che attendono la moglie ogni giorno sulla strada. Alla vicenda principale si appaiono piccoli quadretti collaterali, come il vecchio amico di scuola della McDormand, con il quale si incontra ad un bar, una parentesi totalmente avulsa dalla trama principale ma che serve ad introdurre l'ennesimo personaggio strampalato e a colorire di ulteriore stranezza l'universo della protagonista e del film in generale.

La pellicola ha ricevuto lodi sperticate ovunque, con critici come l'autorità americana Roger Ebert che ha dichiarato che Fargo è "uno dei migliori film mai visti" in vita sua, e si è portata a casa due Oscar nel 1997 (miglior sceneggiatura e miglior attrice alla McDormand) e la Palma d'oro per la regia e Cannes. I livelli di lettura di Fargo (come di qualsiasi altro film dei Coen) sono parecchi ed ogni spettatore più o meno intellettualmente preparato può individuarne a piacere; ci sarebbe persino della teologia dentro quei fotogrammi, con vizi e virtù bibliche personificati nei vari personaggi, tutti comunque accomunati da una certa idiozia e da un certo candore che tuttavia sembrano la chiave per tirarsi fuori dalle situazioni più improbabili (o per caderci mani e piedi e avvitarcisi sempre di più). Basti pensare agli opposti e contrari rappresentati da Marge della McDormand e da Jerry di Macy. Fargo è un film piuttosto divertente anche se, devo essere sincero, la visione dell'epoca risulta piuttosto differente con la revisione attuale, vuoi per la mia differenza d'età, vuoi perché ciò che era originale nel '96 lo è naturalmente assai meno 26 anni dopo, ma vuoi anche perché in qualche maniera il mio approccio al film è stato diverso, meno acriticamente entusiasta e un po' più restìo a certi programmatici ammiccamenti ruffiani, esattamente come mi accade anche per Tarantino, sebbene ciò apparirà una bestemmia per molti cinefili devoti tanto ai Coen quanto al signor Quentin "non sbaglia un colpo" Tarantino.

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