All'alba dei tempi avevo già scritto qualcosa su Emmanuelle ma era poco e mal scritto. Complice la revisione del film nel bel bluray Universal, corredato con ottimi extra, sono voluto tornare in Thailandia con la Kristel per rendere giustizia a questa dirompente pellicola che a suo modo segnò il cinema degli anni '70 nonché il cinema di genere erotico tout court. E' interessante notare come dagli stessi autori la pellicola sia valutata come un film elegante, raffinato, gradevole esteticamente ma tutto sommato abbastanza modesto, inversamente proporzionale all'immane successo ricevuto e soprattutto allo status di vera e propria icona culturale che si è guadagnato. Il concepimento e la lavorazione di Emmanuelle furono un'avventura nell'avventura, il produttore Yves Rousset-Rouard veniva dal mondo della pubblicità, esattamente come il regista Just Jaeckin, che per la verità non fu nemmeno la sua prima scelta. Tranne la montatrice (che aveva lavorato per Truffaut) sostanzialmente l'intera troupe era fatta di giovani inesperti, perlomeno nell'ambito di un lungometraggio cinematografico. Tuttavia l'ambizione era alta, realizzare un film d'autore che potesse persino competere con Ultimo Tango A Parigi. La base di partenza fu il libro della Arsan di cui Rousset-Rouard acquistò fortunosamente i diritti. La sceneggiatura la firmò Jean Louis Richard (altro collaboratore di Truffaut), il quale si tenne assai fedele al libro, espungendo esclusivamente quei momenti talmente forti che non sarebbero potuti approdare sul grande schermo, ma mantenendo i cervellotici dialoghi pseudofilosofici (soprattutto per quanto riguarda il personaggio di Mario). Il set deputato ad ospitare l'esotismo previsto nello script fu Bangkok, che tuttavia non rese affatto semplice il lavoro alla troupe. Venne scritta una seconda sceneggiatura farlocca, all'acqua di rose, ma in realtà venne girata la prima. Ufficialmente si stava producendo un documentario sulla Thailandia, ma anche questa precauzione non bastò ad evitare noie. Nella scena della cascata ad esempio il set fu bloccato e tutti finirono in galera dopo essere stati privati del passaporto. Nessuno si era preoccupato del fatto che quella fosse una cascata sacra per i monaci del posto. Secondo le autorità locali non esistevano fumerie d'oppio, prostitute e locali equivoci in tutto il paese, ovvero esattamente ciò che Jaeckin doveva ritrarre in Thailandia, dunque la vera sceneggiatura del film non sarebbe mai passata.
Alcune scene (quella dello squash, quella della piscina, l'appartamento di Emmanuelle) vennero girate a Parigi, il resto è effettivamente Thailandia. La Kristel venne scelta per mancanza di alternative, la Produzione cercava un'orientale con lunghi capelli neri, e finì con una spilungona olandese dai corti capelli rossicci. Sia Rousset-Rouard che Jaeckin rimasero rapiti dal tratto di ingenuità e naturalezza della Kristel, capace di emanare sensualità senza volgarità, una purezza che sarebbe servita al film. Parte di questo effetto derivava anche dal fatto che la Kristel non se la cavava granché con il francese e dunque recitava le sue battute maldestramente, avendole imparate foneticamente ma senza avere consapevolezza del loro significato. La sensazione che trasmetteva era di totale straniamento e questo aggiungeva ulteriore candore al suo personaggio. Emmanuelle ha battute piuttosto forti nel film (si pensi allo scambio che ha col marito Jean/Daniel Sarky nella loro casa di legno, vera residenza dell'allora principe thailandese), quando afferma di voler dire liberamente cosa desidererebbe sessualmente. Nonostante l'elezione ad oggetto del desiderio di mezzo pianeta, la Kristel in realtà non piacque a tutti; Serge Gainsbourg chiamato a scrivere il tema musicale del film si rifiutò dopo aver visto una proiezione privata, ritenendo la Kristel poco erotica, troppo algida e decisamente non eccitante. Occhi bellissimi, aria intrigante, l'attrice è in effetti una cavallona un po' dinoccolata, con curve estremamente chic per lo stereotipo di donna erotica anni '70 che si contrapponeva alle maggiorate burrosissime pure assai in voga all'epoca. Era la versione intellettuale della donna oggetto, con quell'aria spaesata, magra e dalle forme non vistose. Anche io, in tutta onestà, ho sempre trovato la sua fisicità poco eccitante, ma il punto è che l'intero film che le viene costruito intorno punta in una sola direzione, quella di esaltarla e eleggerla a pura dimensione sessuale, tutto sommato riuscendovi.
Il grande dibattito culturale che si aprì con Emmanuelle fu quanto quella storia rappresentasse realmente l'emancipazione di una donna, la sua libertà (anche sessuale) attraverso la parificazione con il maschio (nei suoi tratti più istintivi e svincolati dal giudizio morale), oppure quanto scene come ad esempio quella dello stupro nella fumeria d'oppio, dell'assalto da parte di un perfetto estraneo (il militare accalappiato per strada dal suo mentore, Mario/Alain Cuny), etc., siano da considerarsi scelte operate liberamente e consapevolmente da Emmanuelle anziché l'ennesima forma di circonvenzione da parte di maschi predatori. Certamente in tutti quei casi il dubbio viene, l'imbarazzo assale lo spettatore e il confine tra l'ambiguità e l'emancipazione si fa incredibilmente sottile. Si tratta di un film che rende giustizia alle donne moderne (degli anni '70) o di una furbata maschilista malcelatamente travestita da panegirico femminista? Ai posteri l'ardua sentenza, anche perché in primis tale prognosi non è stata sciolta neppure sul libro stesso della Arsan (che, come è oramai noto, non è mai esistita in quanto tale, poiché dietro lo pseudonimo di Emmanuelle Arsan si sarebbe celato il diplomatico Louis-Jacques Rollet-Andriane).
Buona parte del film venne diretta con la supervisione di Richard Suzuki, in origine direttore della fotografia ma poi progressivamente insediatosi regista quando la Produzione, scontenta del girato provvisorio di Jaeckin, lo coinvolse maggiormente. Jaeckin passò ad occuparsi quasi esclusivamente della direzione degli attori mentre Suzuki curò l'aspetto visivo del film, ed in questo svolse un lavoro eccellente poiché Emmanuelle è prima di tutto bello e suggestivo per gli occhi, con un Oriente che non si dimentica e rimane per sempre impresso negli occhi dello spettatore. Naturalmente un Oriente borghese, radical chic, patinato, da rivista turistica per occidentali facoltosi, ma pur sempre affascinante e fortemente esotico. Ne sanno qualcosa i registi che, a decine, dopo il 1974 cercheranno di ricreare tanto quegli ambienti quanto quei personaggi e quel mood di fondo; a partire dalla cinematografia di genere italiana che con l'apocrifo interpretato dalla Gemser (che per altro compare nel secondo capitolo di Emmanuelle, L'Antivergine) creò un vero e proprio filone parallelo. Emmanuelle fece esplodere ed al contempo distrusse la carriera della Kristel. Divenne famosa in ogni angolo del globo, dagli Stati Uniti al Giappone, eppure nessuno più volle offrirle un ruolo diverso, la sovrapposizione tra lei ed Emmanuelle fu totale ed irreversibile (non a caso molte attrici emergenti dell'epoca rifiutarono la parte).
La pellicola non lesina violenze, come il suddetto stupro (per altro subito tanto dalla protagonista che da una delle sue cameriere asiatiche, presa con molta forza e determinazione - per usare un eufemismo - dal factotum di casa). La Kristel ebbe molte difficoltà a girare la scena nella fumeria d'oppio ritenendo impossibile trovare un elemento di piacere in uno stupro; gli uomini thailandesi impiegati erano non attori e lei disse poi di aver davvero temuto per la sua vita in quella occasione (tanto più che Jaeckin non fu nemmeno presente sul set e la violenza era addirittura "da dietro"). Anche la scena della giovane danzatrice che accende una sigaretta con i genitali - in odore di mondo movies - fu pretesa dal produttore ma assolutamente negata da Jaeckin, estromesso in favore di Suzuki (che concretamente la girò). Nei cinema americani quella parentesi non è mai stata vista dal pubblico. Per non parlare dei riferimenti affatto velati alla costante disponibilità di giovanissime ninfette indigene sempre a portata di mano. La canzone bellissima "Emanuelle", scritta e cantata da Pierre Bachelet, fu altrettanto un successo e fece decollare la carriera del compositore parigino. La locandina originale del film è quella con la mela, solo successivamente ne venne creata una seconda - quella con la sedia di vimini - che finì col surclassare per notorietà l'originale. L'ultimo frame del film, la Kristel truccata che si guarda allo specchio, è un piccolo colpo di genio suggerito alla montatrice da Serge Gainsbourg e Jane Birkin, poiché introduce l'elemento (affatto previsto originariamente) che tutta l'avventura vista sin lì possa essere un sogno ad occhi aperti di Emmanuelle.