Si fa davvero fatica a non ritenerlo un film di fantascienza questo diretto da Liza Johnson. Quell'incontro è nei libri di storia ed è anche documentato fotograficamente (ad oggi quella iconica stretta di mano rimane la fotografia in assoluto più richiesta e celebre dell'archivio governativo americano), oltre che dagli appunti del consigliere di Nixon, Egil "Bud" Krogh e dal libro di memorie di Jerry Schilling "Me And A Guy Named Elvis", due protagonisti diretti, due fonti della Johnson. Dunque dobbiamo arrenderci alla realtà e prendere atto che è effettivamente avvenuto, è accaduto, nella nostra dimensione e non in un universo parallelo. Sembra un fumetto della Marvel, un'alleanza di super eroi nei loro costumini appariscenti ed improbabili, una immaginifica parabola in qualche lembo atomico dello spazio-tempo scritta dalla penna di un romanziere sci-fi dello scorso secolo; invece è cronaca storica, un punto esclamativo che ha coinvolto e messo assieme politica (il gradino più alto della democrazia america) e spettacolo (stiamo parlando di colui il quale veniva chiamato semplicemente "il Re").
Il 21 dicembre 1970 Elvis è stato ricevuto nello studio ovale della Casabianca dal Presidente Richard Nixon. Quattro anni dopo Nixon si sarebbe dimesso e 7 anni dopo Elvis sarebbe morto. La Johnson li descrive come due marziani, due esseri umani totalmente alienati, disconnessi dalla realtà, scollati dalla concretezza, dal buon senso, da qualsiasi barlume di lucidità. Per certi versi il loro è un incontro di anime gemelle, la sublimazione di affinità elettive, anche se caratterizzate da background persino opposti e contrari. Nel 1997 c'era già stata una trasposizione televisiva di quegli eventi (Elvis Meets Nixon); l'impressione è che Elivs & Nixon porti ad un livello esponenziale le suggestioni e le atmosfere non-sense di quella cornice. Molto buona la capacità di costruire un film attorno a quella chiacchierata tra un Presidente (certo non uno qualsiasi) ed il Messia del rock n roll, chiacchierata di cui in realtà sappiamo ben poco. Tuttavia quanto vediamo accadere nell'arco di quegli 86 minuti appare estremamente credibile, possibile, verosimile. Probabilmente più vero del vero. La sceneggiatura costruisce con dovizia e pazienza l'arrivo al fatidico incontro, la sottile pavimentazione della strada che condurrà Elvis a Washington, la casa degli americani, dove il Presidente è un "ospite temporaneo", come si definisce Nixon (che poi sembrò non voler abbandonare quello scranno nemmeno con le bombe).
Il contraltare di Elvis, il doppelgänger (sano) della sua anima, è il suo vecchio amico Schilling (Alex Pettyfer), che lo scorta in tutta la folle impresa e che - per quanto possibile - lo tiene ancorato alla realtà. Due sono i dialoghi che incarnano lo spirito ed il senso del film e che danno spessore al tutto, entrambi davanti ad una immagine riflessa di Elvis, uno specchio. Il primo, mentre si acconcia alla sua maniera (la differenza tra l'oggetto Elvis ed il vero Elvis, il ragazzo di Memphis, Tennessee); il secondo, mentre attende di essere ricevuto dal Presidente e, nel tentativo di trovare l'incipit giusto del suo ingresso, si ricorda del travagliato parto della madre, che prima di dare alla luce Elvis partorì un gemello, morto. Piccoli e momentanei scampoli di dolore e consapevolezza, come distorsioni, schegge impazzite che disturbano un mondo altrimenti totalmente dissennato e onirico. Fanno tenerezza Nixon ed Elvis, sono due bambini complessati e manipolatori; e tuttavia, per lo stesso motivo, sono l'orrore, poiché il primo è stato per anni a capo della più potente nazione del pianeta, col bottone rosso dell'autodistruzione a portata di mano, il secondo invece ha incarnato più fedeli di Gesù Cristo, ed entrambi al solo schioccare delle dita avrebbero visto orde di kamikaze immolarsi in loro nome senza neanche chiedersi il perché. Fa davvero impressione pensare che l'America abbia potuto eleggere un uomo simile, fidarsene e consegnargli i propri figli. Ma è accaduto e riaccaduto, e non solo negli Stati Uniti. Né va meglio con Elvis, rocker indiscusso ma uomo probabilmente assai discutibile, soprattutto nella annebbiata fase finale della propria vita e carriera. Ho cominciato etichettando la pellicola come un prodotto di semi fantascienza, ma in effetti, a pensarci bene, si tratta di un horror puro, sebbene con evidenti sfumature parodistiche, sarcastiche e comunque amarissime. Eccellente la resa di Nixon da parte di un gigionesco Kevin Spacey, più malinconico e trasognato Michael Shannon nei panni del Re. Deliziosa la colonna sonora "a tema", che non comprende neppure una canzone di Presley.