Ecstasy

Ecstasy
Ecstasy

Tra quella ventina scarsa di film non pornografici fatti da Moana, Ecstasy (1989) di Luca Ronchi è uno degli ultimi. Ronchi è uno dei fondatori di Telemilano assieme a Berlusconi e diverrà poi un produttore Fininvest; qui scrive una sceneggiatura assieme alla stessa Moana - allora sua compagna - traendo ispirazione dal romanzo Polvere Bianca di A. Machen, e firma una pellicola che se non è schiettamente hard ci arriva vicinissima, infarcendola però di pretese ed ambizioni molto alte. Un'operazione un po' spiazzante, sicuramente per il pubblico di Moana e del circuito a luci rosse, ma anche per i cosiddetti "radical chic", che magari in privato, nel salottino dell'attico ai Parioli, la vhs della bella matrona genovese ce l'avevano eccome, ma in pubblico non potevano che stigmatizzarne le gesta e l'ambizione. Ecstasy è un film senza pubblico, non per questo privo di interesse. Certamente tanto pretenzioso quanto coraggioso, e sostanzialmente autocelebrativo. Moana si racconta in prima persona, la narrazione del suo personaggio (che si chiama proprio Moana Pozzi) è estremamente vicina alla realtà della Moana che gli italiani erano abituati a conoscere. Una donna estremamente carismatica, disinibita, libera intellettualmente e totalmente votata al culto del corpo, della bellezza e del piacere. Le astrazioni filosofiche sono tutte discorsive e in qualche misura fanno da contraltare alla estrema concretezza e al materialismo di Moana, che vede nel sesso una energia creatrice vitale ed essenziale, nonché l'unica per la quale abbia un senso stare al mondo. I suoi continui riferimenti alla ossessione per il suo aspetto fisico suonano beffardi col senno di poi, sapendo che il destino ha tolto precocemente a Moana quella sola cosa che le aveva dato un motivo di vivere.

Aleggia un pessimismo nero, vuoi perché il film si svolge quasi interamente nelle notti (romane) e tra set cinematografici e fotografici sempre a sfondo porno, vuoi perché in parallelo al moanismo assoluto viene sviluppata una trama che vede la sorellina della pornostar (Carrie Janisse) affetta da depressione e ai limiti dell'anoressia. Moana, sempre in rampa di lancio verso il sesso libero, viene costantemente riportata sulla Terra dal disagio esistenziale della sorella, la quale per altro è come schiacciata dalla potenza erotica di Moana, invidiandola e quasi temendola. Naturalmente la via maestra per la liberazione è una sessualità emancipata e disinvolta, ma la Janisse è incerta, non sa se andare con gli uomini, con le donne o stare tutto il tempo davanti alla tv a guardare film demoniaci. Moana, su consiglio di Barbarella (aka Virna Anderson, pure lei nella parte di se stessa), fa provare alla sorella una misteriosa droga nera africana. E' la svolta. La Janisse inizia a godere dei piaceri del sesso ma pare una gioia effimera e temporanea, poiché fino all'ultimo Moana l'assiste come una chioccia, con una eterna malinconia sul volto. In effetti, se l'idea era comunicare l'estremo vitalismo catartico del sesso, Ecstasy va nella direzione opposta, benché le scene erotiche siano abbondanti, generose e sempre ammiccanti all'hard tout court (anche per via del fatto che il sottobosco attoriale è esattamente quello, Rocco Siffredi compreso). Questa dicotomia tra intellettualismo decadente (notti, architetture fatiscenti, personaggi disadattati, sesso a oltranza, droga) e lussuria crea un corto circuito che, per quanto bizzarro e straniante, dà al film una sua cifra interessante. Saranno gli sguardi assenti di Moana, sarà l'estrema superficialità delle pornostar e dei loro sodali maschi, saranno dei dialoghi assolutamente inconcludenti e vacui (quello iniziale davanti al camino grida vendetta), ma Ecstasy diventa un film irrisolto e sgangherato che lambisce seriamente i territori del cult movie.

Per altro il libro di Machen è una specie di racconto del terrore nel quale una polvere bianca conferisce grandi poteri ma porta alla distruzione chi la assume (beh, banalmente... la droga funziona così). Moana è Moana, talmente tanta da non avere bisogno di descrizioni. Il suo ritratto è naturalmente accentuato a più non posso. Per la Moana di Ecstasy il sesso è a più non posso, fuori e dentro il set, come "una montagna da scalare", non ha mai fine ed è sempre il momento. Il che forse era vero o forse no. Come altri, anche io ho sempre avuto l'impressione di un certo distacco aristocratico, di una freddezza nel suo modo di "recitare", quasi come se le interessasse più affermare di sé l'idea di una persona trasgressiva ed emancipata, affatto schiava della morale, anziché essere realmente una schiava del sesso. Fa piacere ritrovare Barbarella (soprattutto oggi che non è più tra noi), anche se la Anderson non fa una grandissima figura, etichettata da subito da Moana come sciocca e invidiosa. Il film si chiude senza un perché, senza un finale, come se avessimo assistito ad uno spaccato delle notti romane nelle quali Moana imperversava famelica e biondissima. Nonostante il progetto sembrasse saldamente in mano della Pozzi e del suo compagno, la Produzione impose il doppiaggio dell'attrice, la quale per protesta si fece ritrarre imbavagliata.

Trailer ufficiale

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