Donne In Gabbia

Donne In Gabbia
Donne In Gabbia

Ancora non consacratasi come star definitiva della blacksploitation con tutti gli annessi e connessi dei sottogeneri correlati, Pamela Suzette Grier è appena al suo quarto film quando interpreta Lee Daniels in Black Mama White Mama. Dopo l'esordio con Russ Meyer in Lungo La Valle Delle Bambole, arriva un filotto di titoli carcerari come Sesso In Gabbia (The Big Doll House), Rivelazioni Di Un'Evasa Da Un Carcere Femminile (Women In Cages) e questo Donne In Catene di Eddie Romero, pluripremiato cineasta filippino. La pellicola trae spunto da La Parete Di Fango (1958), nel quale avevamo un black papa (Sidney Poitier) e un white papa (Tony Curtis), con implicazioni di razzismo. Si potrebbe quasi parlare di remake, se non fosse che Romero prende la strada dell'exploitation dura dura. La Grier fa coppia coatta con Margaret Markov (Karen Brent, nel film), una bionda amazzone assai poco "filippina" (pure lei non nuova al genere). Il contrasto fisico e "culturale" dei due personaggi c'è tutto, prostituta nera e molto "spicciola" la Grier, cavallona americana bionda occhi azzurri e rivoluzionaria radical chic la Markov. Entrambe finiscono in gattabuia.

I primi 20 minuti circa di film sono plasticamente WIP, con tutto il corredo di secondine warden dagli appetiti sado-lesbo, scena della doccia con buco a latere per spiare, ammiccamenti, primi piani as altezza tette e terrorismo psicologico da manuale. Poi, durante un trasferimento in bus, le guardie carcerarie vengono attaccate dai rivoluzionari antigovernativi che vogliono liberare Karen ma, nel caos del conflitto a fuoco, le detenute non possono fare altro che fuggire nella giungla, ammanettate l'una all'altra. E' così che la coppia zebrata si ritrova obbligata a condividere la latitanza, tenendo conto che ovviamente Lee odia Karen e Karen odia Lee. La necessità però si tramuta in virtù e le avventure vissute durante la fuga cementano immancabilmente l'unione delle galeotte. Lee vorrebbe scappare dall'isola, anche perché la gang del suo pappa Vic Cheng la cerca per accopparla, temendo che possa spifferare segreti preziosi alla Polizia; Karen invece vuole raggiungere chi potrà garantire nuove armi ai suoi compagni libertadores, e questo qualcuno si trova dalla parte opposta dell'isola. Picchia e mena le ragazze sono braccate dalla Polizia, da due diverse bande criminali (quella di Cheng e quella dei rivali di Cheng, dei taglieggiatori ai quali si rivolge la Polizia per acciuffare le evase) e dalle milizie irregolari del sub comandante Ernesto (uno Zaldy Zschornack disegnato pari pari sul Che).

In questa seconda fase il film si trasforma in un buddy movie, un'avventura esotica exploitation a due, dove gli elementi dominanti diventano la giungla, la caccia all'uomo (anzi, alle donne), le minacce sessuali, il gangsterismo, le sparatorie e le botte. Naturalmente c'è sempre spazio per delle parentesi spogliate. Ecco che ad esempio, quando il criminale Ruben (Sid Haig) - un tipo folcloristico, più sfigato che temibile, vestito come un cowboy da Hollywood posticcia, con tanto di radiolina che trasmette musica yankee - si ferma da uno dei suoi contadini vessati per esigere la tangente, già che c'è si intrattiene con le due giovani figliole, in un siparietto che pare la versione (super) trash dell'incontro amoroso di Malcolm McDowell in Arancia Meccanica con le due donzelle imbroccate nel negozio di vinili. Giusto per non farsi mancare proprio niente c'è pure il momento nunsploitation, quando la Grier e la Markov si travestono da suore (come non è dato di sapere, visto che hanno catene e bracciali ai polsi ed infilarsi le vesti sarebbe tecnicamente impossibile, ma facciamo finta di non averci pensato) e pestano a sangue un camionista che aveva dato loro un passaggio e che però scopre la vera identità delle detenute. La grande fuga si conclude con la sparatoria finale al porto, dove si concentrano tutte le forze in campo. Ecco, qui più che Arancia Meccanica pare Fracchia La Belva Umana, quando Polizia e Carabinieri fanno un macello per acchiappare la "belva", sistematicamente scambiata col povero Giandomenico Fracchia. - SPOILER: dopo aver esploso quintalate di proiettili in tutte le direzioni, la povera Karen viene trafitta a morte, mentre invece Lee riesce ad imbarcarsi e fuggire. Ernesto quasi ci rimette la pelle e il Capitano di Polizia, davanti alla pila di cadaveri crivellati, pregusta la promozione a Maggiore per aver sostanzialmente azzerato in un solo colpo il 90% dei cartelli criminali della zona.

Parallelamente a "Pollastrelle in catene....da dove arrivano è divertimento!", più scorrettamente il film veniva pubblicizzato anche come: "Pollastrelle in catene.... e nient'altro in comune se non la fame di 1000 notte senza un uomo!". Messa così pare più una roba hard che un film d'avventura. Per quanto momenti di nudità sussistano, è più la componente action che quella erotica a caratterizzare la vicenda. Certo, le forme soprattutto della Grier riempiono lo schermo ad ogni scena che la vedono in campo. Black Mama White Mama è considerato uno dei film fondamentali del genere poiché riunisce nei suoi 87 minuti un po' tutti i cliché previsti dal filone exploitation e WIP. La pellicola è ovviamente nelle grazie di Tarantino che, oltre a trarne sempiterna ispirazione, ha anche usato il tema "Police Check Point" nel suo Kill Bill 1 (quando la Sposa si imbatte negli 88 folli nella casa delle foglie blu). Il soggetto è da ascrivere anche a Jonathan Demme, già autore del similare Femmine In Gabbia (Caged Heat). La coppia Grier/Markov si ricostituirà l'anno dopo in La Rivolta Delle Gladiatrici di Steve Carter e Joe D'Amato.

Trailer ufficiale

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